Molte sono state le utopie ideate e sviluppate dalle menti dei filosofi nel corso dei secoli; tra queste, ritengo importante considerare quella di Johann Gottlieb Fichte (1762 – 1814), filosofo tedesco, profondamente influenzato da Kant. Nella sua opera “La missione del dotto”del 1794, Fichte delineò il ruolo dell’intellettuale in rapporto alla propria società. Al dotto spetta un ruolo primario e fondamentale nel governare la società e nell’offrire esempio di moralità superiore. L’utopia fichtiana si mostra, infatti, con tutto il suo fascino nel criterio di scelta dell’intellettuale: egli deve essere l’uomo moralmente migliore dei propri tempi. La moralità, ed in senso generale l’etica, è intesa da Fichte come un continuo (e infinito) auto perfezionamento interiore. Difatti, un uomo non potrà mai raggiungere lo status di perfezione morale, altrimenti si identificherebbe con Dio. Tuttavia, Fichte ribadisce l’importanza dello sforzo di raggiungere la moralità perfetta, che ogni uomo, ed in particolare, il saggio, dovrebbe attuare, per “liberare” gli altri e per far progredire la società. In tal modo Fichte idealizza una sorta di missione sociale dell’intellettuale, incaricato di rendersi uno degli uomini più morali ed esemplari. Il filosofo tedesco ritiene che soltanto grazie all’auto perfezionamento interiore è possibile scavalcare e sorpassare l’insieme degli ostacoli che si oppongono al raggiungimento della piena e totale libertà interiore. Ogni uomo, ogni Io crea se stesso e il mondo circostante: ogni ostacolo è dunque creato dall’Io di ciascun individuo; l’auto perfezionamento, la liberazione totale di questi ostacoli condurrebbe l’uomo a dominare qualsiasi evento (irrazionale o causale) della realtà che vive, proiettandolo (utopicamente) in una vita priva di ostacoli, libera e identificabile unicamente con quella di Dio. Il dotto, in primo luogo, ma anche gli altri uomini, devono tentare di dominare, con la propria legge morale, gli eventi, gli ostacoli, le difficoltà irrazionali della realtà. In tal modo si conseguirebbe una liberazione interiore che tuttavia non avrebbe una fine, poiché raggiunta la moralità suprema, l’uomo non potrebbe essere più tale, ma dovrebbe essere definito come Dio, il supremo essere morale. Secondo Fichte, difatti, la moralità di ogni uomo si realizza nel tentativo senza fine di liberarsi interiormente e di assoggettare ogni evento della realtà a proprie leggi morali. Il progresso sociale, che coincide con la liberazione interiore di ogni individuo che compone la società, è compito di ogni intellettuale che abbia una moralità eccellente. Fichte crede profondamente nel continuo sviluppo, nel progresso e nell’elevazione morale di ciascun individuo e nella superiorità morale degli intellettuali. La sua utopia è affascinante perché serba in sé un’enorme potenza ma anche un obiettivo grandioso: quello di tentare di dominare interamente la realtà con le proprie leggi morali, rendendo ogni individuo il più libero possibile e affidando agli intellettuali il compito di tale costante ed incessante progresso sociale.
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