Indice
Capitolo I - Il quadro politico prima della dittatura (1928 – 1936)
1.1 - L’ultimo governo di Venizèlos e il ritorno di Giorgio II
1.2 - L’ascesa al potere di Metaxàs
Capitolo II – Analisi della dittatura di Metaxàs (1936 – 1941)
2.1 - La figura di Metaxàs e l’ideologia
2.2 - Il quadro economico e sociale negli anni trenta
2.3 - La politica interna di Metaxàs
2.4 - La politica estera
2.5 - La fine della dittatura di Metaxàs e l’invasione tedesca
Conclusioni
Bibliografia
Capitolo I
IL QUADRO POLITICO PRIMA DELLA DITTATURA (1928 – 1936)
L'ultimo governo Venizèlos e il ritorno di Giorgio II
Nel luglio 1928, Elefthèrios Venizélos, statista di maggiore spicco nella scena politica greca fin dal 1914, fu nominato Primo Ministro, dal Presidente della Repubblica, Kunduriòtis, ed iniziò quello che sarebbe stato il suo ultimo governo, che durò fino al 1932. In questo periodo, Venizèlos non fu in grado di stare al passo con i tempi e mantenne atteggiamenti marcatamente conservatori in politica. La legge del 1929, che rendeva illegale qualsiasi tentativo di minare l'ordine sociale prestabilito, fu l'espressione più chiara di questo volto conservatore dell'anziano Primo Ministro. Inoltre, il crollo della borsa di Wall Strett e la ripercussione finanziaria ed economica che investì il continente europeo aggravò in maniera profonda la bilancia commerciale greca. I prodotti più comuni come il tabacco, l'uva passa e l'olio d'oliva furono esportati in quantità quasi dimezzate rispetto agli anni precedenti. In aggiunta, una parte consistente delle spese dello Stato fu destinata al pagamento dei debiti esteri e ciò impedì di attuare le necessarie politiche sociali e di assistenza.
Fu però sul piano della politica estera che Venizèlos dimostrò tutto il proprio estro attraverso l’avviamento di una politica di riappacificazione. Nel 1928, egli strinse il Trattato d'amicizia con l'Italia e con la Iugoslavia e migliorò le relazioni diplomatiche con la Bulgaria e l'Albania. Nel 1930, visitò la Turchia per un accordo sulla questione delle terre lasciate dai turchi che prima vivevano in Grecia. La visita ufficiale in Turchia e il miglioramento dei rapporti con la "Sublime Porta", portarono alla firma di un Trattato d'amicizia che prevedeva peraltro il rimpatrio d'alcuni rifugiati antivenizelisti.
Nei confronti dei Balcani, Venizèlos riuscì ad organizzare, all'inizio degli anni Trenta, l'Intesa Balcanica con una serie di conferenze che si tennero rispettivamente ad Atene (1930), ad Istanbul (1931), a Bucarest (1932) ed infine a Salonicco (1933).
Dall'Intesa Balcanica nacque il Patto Balcanico, una mutua garanzia delle frontiere dei paesi aderenti, che fu stipulato ad Atene nel 1934 da Grecia, Iugoslavia, Romania e Turchia, con l’esclusione della Bulgaria. Sofia, infatti, rifiutò di firmare per un duplice motivo: da una parte non accettava i confini stabiliti nel Trattato di Neuilly del 1918 e, dall'altra, era insoddisfatta sulla questione delle minoranze, posizione, questa, condivisa anche dall’Albania.
Nelle elezioni di settembre, Venizèlos ottenne una vittoria risicata contro Panaghis Tsaldàris, capo del partito populista. In questo frangente, i rifugiati, che erano rimpatriati a seguito del recente Trattato di amicizia stipulato con la Turchia, e che avevano motivi di risentimento nei confronti del Primo Ministro, contribuirono in modo sostanziale a ridimensionare il suo consenso nel paese.
Venizèlos non fu in grado di formare il governo e spettò quindi al rivale Tsaldàris di comporre un gabinetto di minoranza che però cadde nel marzo 1933 anche in virtù delle manovre dell’ex Primo Ministro. I risultati delle nuove elezioni non premiarono la tattica di Venizèlos: i liberali ottennero soltanto 96 seggi mentre i populisti ne conquistarono 135. In ogni modo, per i venizelisti non fu una sconfitta capitale: essi riuscirono ad assicurarsi, grazie ad un sistema elettorale proporzionale favorevole, la maggioranza al Senato.
Venizèlos, umiliato dalla sconfitta e timoroso di perdere completamente il potere, organizzò insieme al generale Plastìras l'ennesimo colpo di stato tra la notte del 5 e 6 marzo. Il golpe fallì miseramente ed in ventiquattro ore le autorità riassunsero il controllo di Atene; l'8 marzo il generale Kondìlis riuscì a raggruppare un'armata di 45.000 uomini contro i ribelli del settentrione e in sole due ore ripristinò l'ordine. Il 10 marzo furono riprese la Macedonia e la Tracia. Il golpe fallito aveva provocato una durissima reazione nella scena politica greca tanto che molti dei sostenitori di Venizèlos, come Kondìlis, erano divenuti acerrimi nemici. In questo contesto, il 6 giugno, Venizèlos, fu oggetto di un attentato mentre percorreva con la sua vettura la strada Kifissia - Atene. Tuttavia, permanevano in Grecia ancora diversi sostenitori dell’ex Primo Ministro e simpatizzanti repubblicani, desiderosi di rimettersi alla guida del governo. Il 1° marzo 1935, fu tentato, da parte di alcuni ufficiali venizelisti, l’ennesimo golpe. Tuttavia, anche questo tentativo fu destinato al totale fallimento e comportò conseguenze ancora più dure di quello del 1933. Furono infatti arrestati e condannati a morte alcuni ufficiali e fu avviata una vastissima epurazione che comportò la destituzione di circa mille persone dalle forze armate, dai settori pubblici e dalle università.
A seguito di questi eventi, Venizèlos e Plastìras fuggirono a Parigi.
Nel frattempo, mentre nuove forze politiche premevano affinché fosse restaurata la monarchia, il governo sciolse in modo autoritario la maggioranza venizelista al Senato. Le misure politiche compresero anche l'imposizione della legge marziale e della censura della stampa. I venizelisti decisero allora di boicottare le elezioni di giugno per protesta contro la privazione dei diritti fondamentali. Le elezioni furono così vinte dai populisti che ottennero 287 seggi su 300; i seggi restanti andarono al partito monarchico di Ioannis Metaxàs.
Il leader del partito populista, Tsaldàris, divenne Primo Ministro ma dovette ben presto fare i conti con il risorgente sentimento monarchico che si andava sempre più diffondendo tra i vertici militari e tra le forze politiche. Il 10 ottobre, infatti, Tsaldàris fu fermato da alcuni alti ufficiali mentre era in macchina e gli fu intimato di decretare la monarchia o di presentare le dimissioni. Quello stesso giorno, per coincidenza, il parlamento avrebbe dovuto votare una proposta di plebiscito, presentata il 10 luglio da Kondìlis, per restaurare la monarchia.
Tsaldàris, che avversava la restaurazione della monarchia, impossibilitato a perseguire la propria politica, si dimise. Fu sostituito da Kondìlis che, nella quinta assemblea nazionale, decretò la fine della repubblica e l'instaurazione della monarchia. Contemporaneamente, fu anche indetto un referendum sulla monarchia che registrò 1.491.992 voti favorevoli e 32.454 voti contrari. Il referendum fu probabilmente in parte manipolato ma dimostrò in ogni caso la volontà delle forze politiche e del popolo di restaurare la monarchia.
Giorgio II, l'erede al trono, fece ritorno in Grecia dopo dodici anni d'esilio e si presentò con la volontà di riappacificare le parti e di ricucire le ferite che il Grande Scisma aveva disseminato, provocando la crisi permanente del parlamentarismo greco. La nuova linea politica del sovrano improntata sulla volontà di perdonare e redimere i venizelisti, costrinse Kondìlis a dimettersi. Quest’ultimo, infatti, ambiva ad orchestrare la politica del governo contro i venizelisti e con il pieno consenso del Re.
Giorgio II nominò allora Primo Ministro un uomo estraneo alla poltica: Kostantinos Demertzìs, professore di diritto civile all'Università d'Atene e monarchico moderato. Per Giorgio II, digiuno della politica greca e assente dal paese per ben dodici anni, i politici erano infatti soltanto "un gruppo di vecchi e deboli uomini" .
Le nuove elezioni che si tennero il 26 gennaio 1936, formarono un parlamento misto con una maggioranza pressoché inesistente: i populisti e i monarchici ottennero 143 seggi, il partito liberale conseguì 141 seggi e il partito comunista 15 seggi.
Il risultato stravolgente spinse i due leader (Tsaldàris e Themistoklìs Sofùlis dei liberali) a cercare un'alleanza, sebbene le frange estremiste dei propri partiti non permettessero una manovra d'ampio respiro. I due leader, inoltre, consultarono informalmente anche il Partito Comunista Ellenico (KKE, Communistikòn kòmma Ellàdos) e pianificarono un piano segreto: i comunisti avrebbero dovuto votare insieme ai liberali Sofùlis presidente del Parlamento e i liberali dopo qualche mese avrebbero dovuto emanare una legge di amnistia per i prigionieri politici, abbassare il prezzo del pane, imporre una moratoria per i piccoli proprietari ed eliminare il corpo di polizia speciale che si era appena creato.
Quando il piano segreto tra i due partiti più importanti e il partito comunista trapelò a livello politico, il Ministro della Guerra, Alexandros Papàgos, reagì duramente ed affermò che l'esercito non avrebbe mai collaborato con i comunisti (5 marzo 1936).
La reazione di Papàgos costò al Ministro l'immediata destituzione e la sua carica fu allora affidata a Ioannis Metaxàs, che divenne anche vice - Primo Ministro. Poco dopo quest’avvenimento, una serie di decessi colpì la scena politica greca: Demertzìs, Venizèlos, Papanastasìu, Kondìlis, Kunduriòtis e Zaimis, scomparirono a poca distanza l’uno dall’altro facendo svanire un'intera classe politica e alcuni dei leader dei partiti più importanti. Questa serie di decessi spianò la strada al potere a Metaxàs, il quale fu nominato Primo Ministro da Giorgio II, poche ore dopo la morte di Demertzìs, avvenuta il 13 aprile 1936.
Con il termine Grande Scisma ci si riferisce alla divisione politica che si creò durante la prima guerra mondiale a causa delle posizioni divergenti tra il Sovrano Costantino I e il Primo Ministro Venizèlos. Costantino I era favorevole a mantenere la neutralità, mentre Venizèlos era incline a schierarsi a fianco dell’Intesa. Quando il Sovrano sfiduciò completamente il Primo Ministro, egli fu costretto a dimettersi e creò una profonda crisi tra potere regio e potere esecutivo che prese il nome di Grande Scisma, con la divisione di due fazioni opposte: i venizelisti, sostenitori di Venizèlos e i monarchici di Costantino I.
L’ascesa al potere di Metaxàs
Il 30 aprile 1936, Metaxàs, appena nominato Primo Ministro, prese a pretesto la lentezza delle discussioni sulla questione del reinserimento degli ufficiali repubblicani - epurati nell'ultimo colpo di stato del 1935 - per decretare la sospensione di cinque mesi dei lavori parlamentari e ostacolare la volontà di Sofùlis, Presidente del Parlamento, di organizzare un governo liberale.
I lavori correnti del Parlamento sarebbero stati svolti da una Commissione di quaranta saggi, scelti in proporzione alla composizione del Parlamento.
La Commissione, tuttavia, non riuscì a raggiungere una posizione definitiva sulla questione dei militari purgati né addivenì ad alcun risultato sull’accordo segreto tra i partiti della maggioranza e il Partito Comunista.
Oltre alle questioni di natura politica, il governo di Metaxàs dovette affrontare un'ondata di proteste che si tennero durante le giornate del 9 e 10 maggio a Salonicco, dove alcuni lavoratori del tabacco si ribellarono causando gravissimi scontri con le forze dell’ordine. Nell’occasione, persero la vita trenta manifestanti e circa duecento furono feriti. A seguito di quella protesta, altri scioperi colpirono le città di Kavalla, Larissa, Agris, attraverso la mobilitazione sollevata ed organizzata dal Partito Comunista greco (KKE), alleato con il partito Socialista Agrario di Sophianopoulos, per protesta contro i salari bassi, la legislazione sfavorevole ai lavoratori e per il rilascio dei prigionieri politici.
Di ciò ne è testimonianza il manifesto del KKE, circolante nelle mani dei protestanti, che affermava testualmente: "Abbasso il governo monarchico di assassini! Abbasso il fascismo! Pane, lavoro, pace e benessere! Tutti per lo sciopero, tutti fuori per le strade!" .
Durante quelle giornate critiche, Metaxàs era giunto alla certezza che il partito comunista fosse in possesso delle forze necessarie per attuare una rivoluzione. Egli decise pertanto di incrementare il controllo delle autorità sul paese, con lo scopo di prevenire e sedare le proteste e gli scioperi. In questa ottica, truppe fedeli al governo furono schierate nelle regioni della Macedonia Occidentale, del Peloponneso e di Larissa.
Il 3 agosto, i leader del partito liberale e del partito populista, Sofùlis e Theotòkis, proposero al Sovrano di varare un nuovo governo di coalizione con l’esclusione di Metaxàs e il ritorno di alcuni venizelisti epurati nel 1935.
Giorgio II tuttavia rifiutò la proposta di Sofùlis e Theotòkis, poiché scorgeva in Metaxàs la figura del politico duro e deciso, in opposizione a quella dello stereotipo debole, anziano ed incapace di risolvere le crisi di governo. Un altro elemento che favorì il rifiuto reale fu la ancor fresca memoria della storia politica greca dalla fine della prima guerra mondiale e di come la formula del governo parlamentare era perita sotto il peso schiacciante del Grande Scisma. La netta divisione aveva infatti provocato una permanente crisi parlamentare e l'impossibilità dell'instaurazione di un governo solido e duraturo. Da questo e dai continui rovesci politici di cui era stata vittima la Grecia, crebbe in Giorgio II la speranza di riportare il paese in una fase politica più equilibrata e meno tesa attraverso l'affidamento della carica di Primo Ministro ad una persona che era sempre stata leale nei confronti della monarchia e della nazione e che aveva dato prova di fermezza nelle avversità.
Inoltre, il Sovrano temeva il ritorno dei venizelisti tra le file dell'esercito, elementi che avrebbero potuto destabilizzare l'equilibrio e il consenso monarchico che era alla base delle forze armate greche, elemento portante del governo Metaxàs e fondamentale per garantire la sicurezza della dinastia contro le proteste che avevano agitato il paese durante il mese di maggio.
Il 4 agosto, Giorgio II decise, in modo risoluto, di firmare i decreti di Metaxàs per l'imposizione della legge marziale, la sospensione degli articoli fondamentali della costituzione, lo scioglimento definitivo del Parlamento, la censura della stampa, il divieto di sciopero e l'obbligo per i lavoratori di garantire in ogni caso la propria prestazione.
Quel giorno fu ricordato come l'inizio della dittatura di Metaxàs. Egli assunse la carica di Presidente, di Ministro degli Esteri, della Difesa, della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica. Il resto del Gabinetto fu di carattere tecnico ed era composto di vecchi ufficiali delle forze armate. Gli altri uomini del governo erano: Drossopoulus, Presidente della Banca Nazionale, Kanellopoulus dell'EON, Maniadàkis, il Ministro degli Interni e Bodossakis, il principale contatto economico con la Germania.
Metaxàs assicurò il paese che si trattava soltanto di misure temporanee per evitare l’insorgere di una rivoluzione comunista in Grecia, ma, nel frattempo, egli si dedicava al progetto di costituire la terza civiltà ellenica, secondo l’ambizioso disegno di riportare in auge il popolo greco dopo un passato politico, culturale e sociale da dimenticare.
Capitolo II
ANALISI DELLA DITTATURA DI METAXÀS (1936 – 1941)
2.1 La figura di Metaxàs e l’ideologia
Ioannis Metaxàs, nato nel 1871 ad Itaca, partecipò come soldato alla guerra greco - turca del 1897 e si formò presso l'Accademia della Guerra a Berlino, la stessa scuola che aveva frequentato il sovrano Costantino I, per il quale nutriva grande ammirazione e rispetto. Durante la permanenza in Germania, Metaxàs apprezzò i valori della disciplina, dell'Ordnung e dell'Ernst (ordine e serietà) e il concetto di Bildung (educazione e autostima), propri dei Prussiani, che egli pose alla base della propria educazione militare.
In seguito, egli entrò a far parte del circolo, "la piccola Corte" , composto di alti ufficiali delle forze armate greche, del presidente della Banca nazionale, e di diversi rappresentanti di istituzioni private e alcuni intellettuali, che ruotava intorno alla figura del monarca Constantino I. La piccola Corte rappresentava inoltre uno dei più significativi legami politico - culturali che univano la Grecia alla Germania ancora molti anni prima che scoppiasse il conflitto del 1914.
Durante il corso della prima guerra mondiale, Metaxàs ricoprì l’incarico di Capo di Stato Maggiore e fu favorevole al mantenimento di una posizione di neutralità nel conflitto, in piena aderenza alle idee di Costantino I. Allorché la Grecia si schierò a fianco dell'Intesa, Metaxàs si dimise.
Nell'ottobre 1923, partecipò al fallito tentativo di rovesciare il governo Gonatàs. Esiliato, rimase su pozioni filo – monarchiche e di disprezzo dei governi venizelisti. Nel 1926, fondò il partito della libera opinione, favorevole alla monarchia, che tuttavia non ottenne significativi risultati alle elezioni dello stesso anno.
Allorché Plastìras tentò il colpo di stato nel marzo del 1935, Metaxàs fu al fianco di Kondìlis nelle operazioni militari per ripristinare l'ordine.
Durante il secondo governo del populista Tsaldàris (10 marzo 1933 - 10 ottobre 1935), Metaxàs fu incluso nel disegno di colpo di stato architettato da Kondìlis. Quest’ultimo desiderava che Metaxàs riorganizzasse l’inefficiente struttura delle forze armate greche. La sua figura era stata scelta poiché rappresentava quella del vero sostenitore della monarchia; di tale portata che avrebbe potuto attrarre i vertici militari sulle posizioni monarchiche con la possibilità di epurare, in modo definitivo, i residui venizelisti dalle forze armate.
Divenuto Primo Ministro, il Generale attuò un insieme di politiche volte a perseguire gli obiettivi e i valori della propria ideologia, con una concezione del recente passato che era in antitesi con il presente; egli, infatti, sentiva prepotente il desiderio di un rinnovamento del carattere nazionale della Grecia poiché il passato, con riferimento particolare al periodo dal 1830 al 1936, era un lungo momento di depressione e di declino dal quale bisognava assolutamente sollevarsi, attraverso la realizzazione di una terza civiltà ellenica.
Le prime due civiltà elleniche erano rintracciabili nell’antico passato greco: la prima civiltà ellenica coincideva con il periodo di Sparta, durante il quale uno stato forte e caratterizzato da una società dura, era riuscito a trasmettere i più genuini ideali nazionali, il concetto di unità statuale e territoriale raggiunta mediante lo sforzo di un popolo intero e coeso. Il modello di Sparta, un regime militare ed oligarchico, basato sui valori del coraggio, della disciplina ferrea e dell'obbedienza divenne il paradigma della dittatura. Diversamente, l'esempio dell'Atene democratica, culla intellettuale e culturale dell'antichità, era considerato nell'ottica della weltanschauung di Metaxàs un'esperienza politica negativa e debole, che portò alla guerra del Peloponneso. La democrazia ateniese era priva di quel carattere saldo e forte ed era invece caratterizzata dalla mediocrità e da un sistema sociale disunito e vago. La democrazia di Atene assunse così nell'ideologia di Metaxàs un valore antitetico a quello dell'esperienza politica di Sparta.
La seconda civiltà ellenica coincideva con il periodo medievale di Bisanzio, che, secondo Metaxàs, è stato esempio di grande unità religiosa e di compattezza sociale, anche se a discapito di un superiore progresso scientifico e culturale, ma con il vantaggio di aver innalzato un edificio statuale resistente ed imponente.
La terza civiltà greca, invece, avrebbe sintetizzato, nel raggiungimento di un sincretismo di valori antichi e moderni, le prime due civiltà elleniche. Il raggiungimento e il compimento della terza civiltà sarebbe avvenuto mediante l'instaurazione di una dittatura paternalista che avrebbe dovuto forgiare e compattare la individuale e disunita nazione greca.
Metaxàs dovette non soltanto creare un'ideologia, cioè un complesso di valori, credenze, opinioni, atteggiamenti legati ad un determinato credo politico, ma dovette anche diffonderla nella società greca, una società che non aveva un'ideologia specifica e che non era stata protagonista di grandi movimenti di massa, come nel caso di quella tedesca e italiana. Inoltre, in Grecia, mancava il ruolo del partito, come intermediario socio - politico tra il dittatore e la base sociale del popolo. Per questi motivi, Metaxàs ritenne fondamentale trasmettere i valori della propria ideologia tra i giovani, i futuri adulti e dunque la futura Grecia, con la speranza che essi potessero perseguirli anche dopo la sua morte. In aggiunta, affidò a Theologos Nikoloudes, il segretario della Stampa e del Turismo, il compito di propagandare l'ideologia ufficiale del regime e di creare il supporto di massa necessario alla sua sopravvivenza.
Fin da subito, Metaxàs avvertì anche l'esigenza di riorganizzare la struttura delle forze armate greche in linea col disegno ideologico di creare uno stato forte e unito, sorretto da una forza militare strenua e disciplinata in modo ferreo. La componente militare era un elemento fondamentale e portante della dittatura di Metaxàs, anch'egli, prima che politico, militare. In questo senso, dal punto di vista sociale, la difesa e la sicurezza, valori che dovevano essere difesi dalle forze armate contribuirono a rendere maggiormente coesa la base sociale e a diffondere il sentimento di unità circoscritto al territorio dello Stato. Con la stessa disciplina e con la stessa mentalità, fu organizzata la polizia interna, altro elemento fondamentale di repressione contro i dissidenti politici e gli avversari del regime.
La dittatura di Metaxàs era orientata politicamente su una forma di nazionalismo, privo però di quei toni aggressivi che caratterizzavano il nazional – socialismo tedesco e il fascismo italiano.
Il nazionalismo di Metaxàs era teso al coinvolgimento e all'unione del popolo, che si doveva identificare in un comune sangue ellenico, in una razza greca. Questo concetto, al contrario dei fascismi, non implicava la ricerca di uno spazio vitale tradotto in termini d'espansione territoriale ai danni dei paesi limitrofi. Metaxàs, tendeva piuttosto a creare un'unica identità per la sua nazione e fedele a ciò impose alle minoranze turche e slavofone la cultura greca, convinto che una Grecia omogenea, dal punto di vista etnico e culturale, sarebbe stata la formula idonea per conseguire un progresso socio – politico ottimale.
L'identità comune greca si legò al concetto di "uomo nuovo", cioè di uomo (e donna) disciplinato, onesto ed incorruttibile che avrebbe votato le proprie energie per la costruzione di una nuova Grecia.
La dittatura di Metaxàs non fu dunque supportata da un movimento di massa ma dovette invece crearlo, cercando di propugnare un nuovo tipo d'uomo, tramite la diffusione dei valori di lealtà, dell’onestà, della religione cristiana ortodossa, dell'ordine sociale e politico, della famiglia e della patria.
Metaxàs, come gli altri dittatori, non fu esente dal culto della personalità e si definì come "Primo contadino", "Primo operaio","Capo" o "Padre della nazione".
In rapporto alle altre dittature, l'esperienza greca si avvicinò per molti aspetti a quella tedesca di Hitler. Metaxàs, infatti, nutriva grande ammirazione nei confronti del Terzo Reich e ambiva a riproporlo in Grecia. Il fascino della Germania, oltre a riguardare il mondo militare, era da legarsi al fatto che anche Berlino aveva riconosciuto nella Grecia la madre di una grande ed importante eredità culturale. Difatti, Metaxàs apprezzò molto l'autore tedesco Wilhelm von Humboldt, che favorì nelle scuole l’introduzione dello studio dei testi classici degli antichi greci e che aveva contribuito a rendere in tal modo – nella visione del Primo Ministro - la cultura tedesca superiore alle altre, grazie all'assorbimento e alla comprensione di quella greca.
Altra prova dell'ammirazione tedesca nei confronti della Grecia era da rintracciarsi nella figura di Hitler, sempre affascinato dall'architettura ellenica che considerava come espressione della più alta perfezione umana.
Anche Goebbels, Ministro tedesco della Propaganda, espresse la sua romantica ammirazione nei confronti della Grecia, quando la visitò la prima volta. Dal suo Diario, durante il primo giorno ad Atene, si legge: "Là le torri del Monte Olimpo e lì il Parnasso. Mi induce una sensazione di calore. Antichi ricordi riemergono dalla mia giovinezza. Un sogno diventa realtà. Sopra l’eterna Grecia" . Secondo giorno di visita all'Acropoli: "Ieri: una delle più belle e più significative mattine della mia vita. Sull’Acropoli. Soltanto poche persone. E mi sono meravigliato per ore di queste nobili luoghi dell’Arte nordica. " .
Dal pensiero di Goebbels, che si riferisce all'arte nordica, ci si lega alla teoria di Guido Von List, che aveva affermato che gli ariani provenienti dal polo nord si erano poi trasferiti verso la zona centrale dell'Europa e si erano instaurati nel Mediterraneo. Allo stesso modo anche Alfred Rosenberg, nella sua opera "Il Mito del XX secolo", aveva parlato di "un'ellade nordica".
Sebbene in termini culturali, le due dittature fossero molto vicine, ciò non si tradusse in particolari alleanze politiche o militari; Metaxàs infatti non divenne il burattino di Hitler e, anzi, attuò un’intransigente politica estera votata alla neutralità.
Martin Ebon, “World communist today”, Whittlesey House McGraw-Hill Book Company, Inc. New York; Toronto
Mogens Pelt, “The establishment and the development of the Metaxas Dictatorship in the context of Fascism and of the Nazism, 1936 – 1941”
2.2 Il quadro sociale ed economico greco negli anni trenta
L'economia greca si basava prevalentemente sull'agricoltura che era per lo più nelle mani di piccoli proprietari terrieri. La superficie delle terre greche era coltivabile in una percentuale del 25 - 30%. Le modeste produzioni agrarie non supplivano al fabbisogno alimentare del paese anche se alcuni prodotti come il tabacco, l'uva passita e le olive erano esportati.
Le materie prime erano abbondanti in Grecia ma non completamente sfruttate. Gli impianti industriali tessili e per la lavorazione del tabacco erano scarsi. Gli impianti metallurgici erano essenzialmente concentrati nell'area compresa tra Atene, Salonicco e Volos. Atene, la capitale, e Salonicco, erano i principali porti del paese e nodi commerciali che vantavano un discreto traffico con i paesi del Mediterraneo.
Atene, capitale amministrativa dello Stato, raccoglieva gran parte del settore terziario ed un potente ceto dirigente. La capitale era l’espressione simbolica del profondo divario sociale che esisteva tra città e campagna, una dicotomia che caratterizzava da molto tempo la società greca. La città, infatti, raccoglieva una popolazione intelligente, astuta e dinamica, dedita ai traffici, amante della critica e della discussione, della vita all'aperto e del caffè, conoscitrice del mondo ed animata da un forte sentimento di superiorità nei confronti dei rurali.
La città era in gran parte abitata dalla borghesia commerciale e imprenditoriale, politicamente schierata a favore della Repubblica, di mentalità liberale e concorrenziale e in opposizione alle forze economiche più conservatrici, orientate al protezionismo.
Al contrario, la campagna, era abitata da una popolazione rurale e montana, dedita ad una vita frugale, povera, dalla visione ristretta e conservatrice, dal fisico irrobustito e temprato dai disagi e dall'abitudine di vita dura e dal lavoro. Nei centri minori e nei villaggi, l'ambiente era politicamente di tipo patriarcale: gli anziani e il sindaco rappresentavano l'autorità locale.
Generalmente, il greco medio amava discutere di politica e schierarsi. A conferma di quel carattere accesso e litigioso comune a tanta parte della popolazione, vi era il detto per cui "tre greci, quattro governi".
Tuttavia, nel complesso, la mentalità dell'intero paese restava, in prevalenza, rurale.
Tale situazione fu favorita dal grande esodo, iniziato dopo la disfatta in Asia Minore del 1923, che aveva comportato il ritorno in patria di greci dalla Bulgaria, dalla Russia e dalla Turchia, in numero superiore al milione, in prevalenza agricoltori e contadini.
Nella campagna, gli immigrati si inserirono senza molti problemi grazie alla cessazione del latifondo e alla liberazione delle terre. Ciò fu decisivo nell’impedire la nascita di un movimento agrario in Grecia, fenomeno che invece interessò la Bulgaria e la Romania.
Nelle città, il problema degli immigrati era legato al fatto che la gran parte di loro era in condizioni di estrema indigenza. Anche se nelle loro fila vi erano alcuni imprenditori benestanti, la maggior parte era composta da operai e proletari, le cui condizioni erano più disagiate di quelle dei contadini.
Gli unici vantaggi dell'esodo furono l'omogeneizzazione territoriale della Grecia, la frantumazione dei grandi latifondi di origine turca nelle pianure tessalica e macedone e la diffusione della piccola proprietà contadina, con benefici effetti stabilizzanti.
Prima dell'inizio della dittatura, nel giugno 1936, Metaxàs, in qualità di Ministro della Guerra, aveva stretto degli accordi economici informali con la Germania, tramite il ministro dell'economia tedesco Schacht. L’intenzione di Metaxàs era quella di ristrutturare le forze armate greche; egli decise di importare materiale militare tedesco in cambio dell'acquisto, da parte dei tedeschi, di tabacco e di metallo. La spesa di Metaxàs, che toccava la cifra di 75-100 milioni di marchi, generò i timori e la vana opposizione del Presidente della Banca nazionale, Tsouderos, preoccupato che la Grecia, obbligata commercialmente a fornire il tabacco alla Germania, si sarebbe concentrata sulla produzione di beni di lusso, tralasciando la produzione di beni primi, come i cereali e i prodotti agricoli.
Nel 1936, il raccolto del grano fu disastroso tanto che Metaxàs fu costretto ad importare frumento per una somma di 25.000.000 di dollari. In compenso, esportò tutta la produzione di olive dell'annata in Germania ed importò l'olio sintetico tedesco per non far mancare nell'alimentazione greca un elemento così importante. Nel 1937 e nel 1938, i raccolti superarono la media e permisero un aumento del benessere generale con una diminuzione della disoccupazione ma, nel contempo, generarono un aumento del carovita. Le tasse aumentarono in conseguenza di una sostenuta spesa pubblica destinata ai servizi e al riarmo. Furono inoltre poste delle misure rigide di controllo sull'evasione del fisco.
Nel febbraio 1937, vi fu un secondo accordo economico con la Germania per un prestito di 350.000.000 dracme al 3% di interessi, in cambio della fornitura di armi e del completamento del sistema di difesa. In quel modo, la presa economica di Berlino sulla Grecia divenne sempre più forte, a tal punto che una buona parte dell'economia greca dipendeva dallo scambio commerciale con i tedeschi. Questo stretto rapporto commerciale costò molto, in termini economici e politici alla Grecia, che si ritrovò assoggettata alla strategia di Berlino di invadere le economie dei paesi meno ricchi, con la possibilità, in un futuro, di stringere, in modo più facile e con maggiore potere di ricatto, accordi politici e militari.
Metaxàs, in rispetto degli accordi di natura commerciale con la Germania, dovette mantenere elevata la produzione di tabacco. Ciò contribuì a risolvere in qualche modo la questione economica greca e a sedare le ribellioni dei lavoratori del tabacco.
Quale conseguenza della politica di riarmo, l'industria militare greca registrò uno sviluppo che le permise di essere uno dei paesi meglio armati nei Balcani. In particolare, lo sviluppo dipese dalla cooperazione tra l'industriale greco Prodromos Bodosakis - Athanasiades, proprietario della compagnia Powder and Cartridg, e l'impresa tedesca Rheinmetall – Borsig che, dal 1938, fu controllata da Hermann Goring.
La Gran Bretagna, impensierita della strategia economica internazionale condotta da Berlino, tentò di allentare la presa tedesca in Grecia, con una serie di investimenti effettuati a cavallo del 1937-1938 per una cifra complessiva di 2.000.000 di sterline, destinati al prosciugamento e all'irrigazione di canali. Altri scambi commerciali furono stipulati con la Grecia furono stipulati ma non riuscirono a scalfire la presa economica tedesca.
Nel complesso, il legame con la Germania incrementò il volume delle esportazioni greche dal 24% al 30% e aumentò le importazioni dal 10% al 29%. Nel 1938, la Germania acquistava il 40% del tabacco greco; alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale il reddito nazionale greco era di 640 milioni di dollari (90 dollari pro capite).
2.3 La politica interna di Metaxàs
Il sistema politico che faceva da quadro al regime dittatoriale di Metaxàs era caratterizzato da una forma di stato monarchica costituzionale, instaurata il 3 novembre 1935, dopo il periodo repubblicano venizelista.
L'ultima Costituzione in vigore, prima della sospensione di alcuni diritti fondamentali, era quella del 1927, di carattere democratico e parlamentare, che prevedeva un Parlamento eletto ogni quattro anni. La città di Atene era la capitale amministrativa dello Stato e il territorio greco era diviso in dipartimenti regionali e prefetture, cui presiedevano funzionari di nomina governativa. Dalle prefetture dipendevano i municipi con sindaci e consigli comunali e rurali, eletti ogni quattro anni.
Il paesaggio politico greco era composto di partiti privi di organizzazione stabile, di ideologie e di programmi ben definiti, praticamente delle coalizioni di uomini e di interessi guidati da un personaggio politico di statura nazionale.
La morte o la sfortuna del leader comportava lo scioglimento del partito e la formazione di altri partiti o coalizioni, come fu dimostrato dalla storia del periodo intercorso tra l’inizio della prima guerra mondiale e l’instaurazione della dittatura di Metaxàs. Alle elezioni del 1936, due partiti assursero a livello nazionale: i "populisti" o conservatori – moderati, in generale vicini alla monarchia e sostenuti dalle forze rurali; e i "liberali", riformisti, di tendenze repubblicane, sostenuti dagli interessi commerciali e marittimi.
Prima del 1936, i due partiti erano stati animati da un vivace scontro, nonostante la moderatezza delle loro posizioni e la sostanziale similitudine dei programmi. Questo scontro comportò una dialettica caratterizzata da una continua alternanza tra i due partiti - con la frequente ricerca di soluzioni di forza - e dalla competizione per apparire di fronte alla popolazione come i migliori tutori della espansione nazionale. Tale competizione avviò la Grecia verso una politica di potenza spesso avventurosa e comunque onerosa. Tuttavia, la sostanziale somiglianza dei due partiti antagonisti permise al partito comunista greco (KKE), di assumere funzioni di arbitro della situazione durante le elezioni del 1936, ragione per la quale questo ultimo guadagnò una rilevanza politica superiore a quanto non gli fosse consentito dal reale seguito posseduto nella popolazione.
Difatti, il successo del Partito Comunista che in precedenza non aveva mai conquistato larghi consensi, fu il motivo, avanzato da Metaxàs, per giustificare l’instaurazione della propria dittatura. Il Partito Comunista nacque nel 1918 come Partito Socialista del Lavoro. In seguito al successo della rivoluzione bolscevica e alla III Internazionale, esso assunse una posizione sempre più radicale e, nel settembre 1920, adottò il nome di Partito Comunista e aderì al Comintern.
L’articolata organizzazione comunista, che coordinò le proteste dei lavoratori del tabacco a Salonicco del maggio 1936, fu considerata pericolosa da Metaxàs e volta a minare l’equilibrio sociale e politico del paese.
Una volta divenuto dittatore, Metaxàs proclamò la legge marziale e fece arrestare all'incirca quattrocento leader dell'opposizione (tra cui anche numerosi comunisti) in tutto il paese.
Peraltro, oltre ad eliminare le principali minacce al suo regime, Metaxàs avviò anche delle ampie riforme sociali, attuò dei provvedimenti per favorire lo sviluppo dell'industria e per la ristrutturazione delle forze armate.
In materia di lavoro, Metaxàs, innanzitutto, impose l'arbitraggio obbligatorio dello Stato nelle controversie tra i lavoratori e il padronato. Ciò comportò l'esautorazione completa dei sindacati e delle unioni dei lavoratori, che in tal modo furono rilevati dalle loro funzioni di tutela e garanzia dei lavoratori. Inoltre, l'intenzione di Metaxàs era quella di assicurarsi un maggiore controllo sulle prestazioni lavorative con lo scopo dichiarato di prevenire qualsiasi sciopero.
Ufficialmente, le statistiche dei prime due anni di regime di Metaxàs, registrarono la risoluzione di 44.217 controversie da parte dello Stato.
In risposta alle esigenze dei lavoratori che avevano scioperato durante il mese di maggio per i bassi salari, Metaxàs stabilì, per tutte le industrie, una giornata lavorativa di otto ore, con la garanzia di un salario quotidiano minimo di 55 dracme. Inoltre, fu attuato un sistema assicurativo a garanzia della salute dei lavoratori. Alle donne lavoratrici erano assicurati anche dei compensi aggiuntivi durante la maternità. La Domenica fu considerato giorno festivo per tutti e furono concesse ferie di due settimane retribuite oppure, al posto della vacanza, due settimane di lavoro, al doppio del salario.
Accordi collettivi furono firmati con le categorie di lavoro, quali i ferrovieri, il personale dipendente, gli impiegati pubblici, i bancari e i lavoratori delle fabbriche. Questi accordi stabilirono l'orario di lavoro quotidiano, i salari, la durata delle ferie e altri aspetti professionali.
Le riforme in materia del lavoro riguardarono anche il miglioramento e la ristrutturazione degli alloggi e delle case dei lavoratori. Il 1° maggio fu considerata festa nazionale in onore dei lavoratori.
Il Generale cercò di frenare la disoccupazione e, secondo i dati forniti dall'ambasciata tedesca in Grecia, essa diminuì da 128.000 a 26.000 unità tra il 1936 e il 1937, fino a raggiungere le 15.000 nel 1939.
Tali risultati erano per lo più da attribuirsi al programma decennale voluto da Metaxàs, per la ristrutturazione urbanistica e delle strade e per la fortificazione dei confini, che pur coinvolgendo un'ingente manodopera, contribuì altresì a raddoppiare le spese pubbliche e a diffondere una forte inflazione nel paese, seguita da una svalutazione della moneta e dalla diminuzione del potere di acquisto.
Nel complesso, la riforma lavorativa interessò all’incirca 616.000 lavoratori e 141.000 impiegati pubblici. Tuttavia, essa fu in gran parte inefficiente poiché la sparizione dei sindacati e delle unioni dei lavoratori consentiva ai datori di lavoro di evadere la legge e di imporre condizioni diverse ai lavoratori e agli impiegati, da quelle previste dalla riforma Metaxàs.
In un tale sistema, i lavoratori non potevano neanche ribellarsi poiché sarebbero stati denunciati alla Polizia dagli stessi datori di lavoro. Nei casi estremi alcuni furono costretti a firmare documenti dove appariva che il loro salario era più alto di quello che in realtà guadagnavano.
Anche l'assistenza medica ai lavoratori fu in gran parte compromessa dal fatto che il governo predispose, per questo servizio sociale, soltanto 300 medici, peraltro pagati male e in modo irregolare. In aggiunta, il materiale medico necessario era stato provvisto soltanto in parte, tanto da rendere inutile l’assistenza medica per i casi più gravi.
Per quanto invece concerneva il mondo rurale, Metaxàs riuscì a rimettere un terzo dei debiti agli agricoltori, colpiti tra il 1936 al 1937 da un cattivo raccolto.
Il Generale, oltre ad occuparsi dell'importante ambito del lavoro, edificò un efficiente apparato di polizia, con lo scopo di controllare la popolazione e di legare maggiormente le attività dei cittadini allo stato. Ciò rientrava nel proposito ufficioso di creare un rapporto molto stretto tra la popolazione e le organizzazioni dello stato. Tuttavia, la Polizia divenne fin da subito uno strumento di repressione e di forte controllo di tutte le attività sociali e politiche che comportò la neutralizzazione di moltissimi avversari politici.
Metaxàs affidò la carica di Ministro degli Interni all'abile Maniadàkis, che dirigeva la polizia di stato. Maniadàkis si occupò inizialmente di controllare le attività sociali e politiche di tutto il paese attraverso l’istituto della delazione e dello spionaggio. Per ottenere informazioni, la polizia ricorreva allo stesso metodo anche nei confronti dei membri delle forze armate, di associazioni culturali e femminili e di altre persone di pubblico rilievo.
Sulla stessa linea, Maniadàkis non esitò ad incoraggiare i membri dell'EON (Organizzazione Nazionale della Gioventù) a fornire informazioni sulle attività dei propri genitori. I poteri della polizia erano pressoché illimitati ed essa poteva fare irruzione in qualsiasi abitazione, poteva perquisire a qualsiasi ora del giorno e di notte e poteva arrestare qualsiasi cittadino ritenuto sospetto. Gli arrestati erano poi condotti di fronte al Comitato di Sicurezza che era presente in ogni prefettura e che si componeva del Prefetto, del Capo della Gendarmeria e del Procuratore. Questo comitato poteva anche condannare gli arrestati all'esilio soltanto con ill semplice sospetto. Il detenuto aveva il diritto d'appello ma, la maggior parte delle volte, gli era rifiutato. Durante la prigionia, molti dei detenuti erano deportati nelle isole avendo a disposizione solo dieci dracme per l'acquisto di vestiti, cibo e l’alloggio: una cifra che avrebbe permesso soltanto l’acquisto di un pasto. Gli altri detenuti, invece, rimanevano sulla terraferma, nelle prigioni di stato.
Gli avversari politici perseguiti ed arrestati erano per lo più comunisti, socialisti, agrari e intellettuali liberali. Tra questi, gli avversari più duri furono i comunisti, dirozzati dal continuo attivismo politico clandestino. Tuttavia, Maniadàkis riuscì a fare infiltrare degli elementi fidati all'interno del Partito e riuscì addirittura a far stampare una versione alternativa, ma difficilmente distinguibile dall’originale, del quotidiano del partito comunista, il Rizospatis.
La cattura e l'imprigionamento degli avversari avveniva senza processo. Una tattica utilizzata da Maniadàkis fu quella di offrire la possibilità di essere liberati con l'obbligo, tuttavia, di firmare una dichiarazione in cui si rinnegava il proprio credo politico e si denunciavano i propri compagni. Molti dei comunisti furono "obbligati" dal Partito stesso a firmare poiché servivano all'attività politica clandestina; ad ogni modo, coloro che avevano firmato, perdevano automaticamente il credito e la reputazione di cui avevano goduto negli anni precedenti. Coloro che invece non firmavano erano soggetti alla tortura o anche istigati al suicidio. Se si trattava di un personaggio politico importante, la polizia falsificava la firma e rendeva pubblico il “tradimento” in modo tale da screditare la reputazione del politico, libero ma umiliato.
Tra i più importanti personaggi politici arrestati vi furono il comunista Zachariadis, segretario del Partito, fermato nel settembre 1936 e condannato a quattro anni e mezzo di reclusione, il liberale Michalokopoulos, il monarchico Theotokes, George Kaphandares, capo del Partito progressista, John Sophianopoulos, capo del Partito Agrario - Socialista, Pericles Argyropoulos, ex-Ministro degli Esteri e Alexander Svolos, professore di diritto costituzionale di fama internazionale.
La struttura e i metodi della polizia greca avevano molti aspetti in comune con la Gestapo tedesca. Difatti, a prova di ciò, la legazione britannica in Grecia riuscì a mettere le mani su una lettera di Himmler indirizzata al ministro greco Maniadikis (alla fine del 1937) sul modo di combattere il comunismo e sulle conferenze in tema che si sarebbero tenute .
Nel frattempo, Metaxàs, insieme a Theologos Nikoloudes, si occupò di creare l'insieme dei simboli, dei valori comuni e dei segni da porre alla base della "façade" del regime e della ideologia ufficiale e da diffondere tra la popolazione per creare quel necessario movimento di massa e quella coesione che sorreggesse l'intero edificio autoritario dello stato. Di conseguenza, oltre alla creazione di nuovi inni (il "Giati xairetai o kosmos", l’Inno del 4 agosto, il “Sth douleia”, l’Inno del fronte dei lavoratori, e l’“Εmpros!”, l’inno dell’EON), di rituali, di musiche e canzoni, di nuove uniformi per le forze armate, dell’adozione di un logo simile alla lettera lambda, del saluto romano con la mano destra, dell’imposizione del 4 agosto come festa dell’inizio del regime, della circolazione di pamphlets, opuscoli, libri, e così via, nell'ottobre 1937, Metaxàs istituì l'EON (Ethniki Organosis Neoleas, ovvero Organizzazione nazionale della Gioventù), presieduta dall'industriale Alexandros Kanellopoulos. Nell'EON fu inglobata l'organizzazione dei Boy Scouts fondata dal principe Paolo I. L'iscrizione era obbligatoria e l'organizzazione si divideva in due fasce d'età: gli Scaponfs (Pionieri), che raggruppava i bambini dai 10 ai 13 anni e i Phalangites (Falangisti) che erano gli adolescenti dai 14 anni fino ai 25 anni. Le uniformi erano di colore blu e comprendevano una camicetta e dei pantaloni lunghi e una cravatta bianca e le calze bianche. Metaxàs aveva inizialmente stabilito l'autonomia dei programmi e delle attività dell'EON ma infine essa fu pesantemente influenzata dall'esigenza governativa di imporre l'ideologia ufficiale del regime.
Nel campo culturale, la dittatura influenzò moltissimi altri settori: essa impose il divieto di non "scherzare" sulla politica e di evitare su di essa qualsiasi satira perché era da considerarsi un argomento serio e di interesse comune.
Nel settore delle informazioni, Metaxàs ordinò un completo controllo di tutti i media mediante la legge per la stampa 1092/1938. Essa stabiliva che i media dovevano contribuire a costruire la nuova Grecia e che dovevano perciò omettere nei propri articoli: gli spazi vuoti, che potevano indicare la censura; le critiche sul lavoro del governo; le informazioni sui partiti o sui personaggi politici; le informazioni sui rimpasti ministeriali e sul cambiamento della composizione del governo; erano altresì vietate le informazioni sui viaggi del capo del governo e del Re; le notizie riguardanti il Nord Epiro, Cipro o il Dodecaneso; le informazioni sullo stato economico del paese sulle forze armate e sull'esercito, sui sindacati e le organizzazioni del lavoro; nonché ogni commento sull'aumento del carovita .
La legge sulla stampa comportò il blocco di circa il 40% dei giornali che circolavano prima della dittatura e la chiusura d’alcune famose testate giornalistiche.
Metaxàs decise di creare il proprio sistema di trasmissione e così anche la radio divenne strumento della propaganda del regime. Grazie ai consolidati rapporti economici con la Germania, Metaxàs stipulò un contratto con la compagnia tedesca Telefunken per la costruzione di un trasmettitore di onda bassa a Liossia, a 7 chilometri da Atene.
I programmi della radio furono posti sotto il controllo del Ministro della Stampa e del Turismo che ne assicurava il servizio a favore del regime.
Nel settore dell'educazione e della scuola, Metaxàs ordinò a livello provinciale di applicare le disposizioni contenute nel protocollo No. 534 , del febbraio 26, 1937, originariamente destinato al dodicesimo distretto scolastico. Esso imponeva di non includere la teoria darwinista nel corso di scienze naturali perché avrebbe creato un contrasto tra la scienza e la religione che si sarebbe ripercosso in modo negativo tra i giovani.
Per il corso di greco antico, bisognava omettere l'orazione funebre di Pericle, poiché essa riprendeva alcune concetti democratici che potevano essere interpretati dagli studenti in un senso anti-governativo.
Inoltre, dovevano essere eliminati alcuni pezzi dell'Antigone di Sofocle perché criticavano troppo l'autorità.
Fu imposto l'uso della penna blu e a livello universitario fu abolita la cattedra di diritto costituzionale.
Per quanto concerneva la questione culturale e il rapporto con gli ebrei, Metaxàs dichiarò pubblicamente che non vi sarebbero state persecuzioni e che ogni cittadino greco di origine ebraica sarebbe stato considerato uguale agli altri.
Tuttavia, in privato, come riferisce Goebbels nel settembre 1936 dopo un incontro con Metaxàs, il Generale sembrava invece essere fortemente antisemita.
Tuttavia nel paese non vi furono mai delle vere e proprie persecuzioni; tutto al più, si può affermare che ci furono delle discriminazioni poiché l'EON prevedeva l'iscrizione ai soli greci cristiani e poiché alcuni dei libri messi all'indice dalla dittatura includevano opere degli ebrei Zweig e Freud.
Sul piano militare, Metaxàs si ritrovò ad affrontare una seria riforma nei confronti di un'organizzazione militare che era sempre stata usata in modo sproporzionato rispetto alle possibilità del paese, al livello della popolazione e alle disponibilità finanziarie.
Difatti, i risultati conseguiti dall'esercito greco prima del 1936 erano sempre stati deludenti per la mancanza di corrispondenza tra i mezzi disponibili e gli obiettivi politici che erano stati imposti. Un elemento di debolezza delle forze armate greche era quello dovuto all'esistenza di fratture di ordine politico e di società segrete attive fra i quadri, che avevano spesso partecipato a colpi di stato. I quadri delle fazioni perdenti erano allontanati dal servizio ed andavano ad ingrossare le file dell'opposizione politica.
Oltre a ciò, Metaxàs dovette affrontare la disciplina del soldato medio greco, piuttosto disordinato, poco disciplinato, marziale ma tuttavia parco, robusto, resistente e scaltro.
Per questi motivi, Metaxàs avviò una riforma dei quadri tramite la riorganizzazione delle Scuole di formazione a partire dal 1936. La leva militare obbligatoria era di due anni e, durante il tempo di pace, la forza media era di circa 140 – 150.000 uomini, compresi 12.000 della Marina e circa altrettanti dell'Aviazione. Nel 1940, l'esercito greco poteva mobilitare 15 Divisioni.
Oltre a ciò, Metaxàs volle costruire una linea difensiva e rafforzare i confini del territorio greco. La linea difensiva, che comprendeva diverse fortificazioni, fu allestita nei pressi del confine con la Bulgaria, fu denominata linea Metaxàs.
Infine, la politica interna del Generale dovette affrontare dei tentativi di insurrezione e di ribellione.
Il 1° dicembre 1936 fu scoperto di un complotto contro il governo che provocò l’arresto di nove persone e la loro condanna da 6 mesi a 2 anni di detenzione.
Il 28 gennaio 1938, fu scoperto un attentato contro la vita di Metaxàs. Ciò comportò l'esilio per 20 membri del partito comunista (tra cui 4 ex ministri) e la detenzione di altri 20 attivisti. Nel mese di maggio, altri 70 comunisti furono arrestati (tra cui 4 ex parlamentari).
Tra il mese di giugno e quello di luglio, ci fu una rivolta a Creta, alla cui testa vi era M. Mitsokaitis, nipote di Venizélos, che, a capo di 500 uomini catturò il governatore dell'isola e ne occupò la capitale, Canea.
Metaxàs decise di reagire duramente e, dopo aver imposto sull'isola la legge marziale, inviò delle truppe a ripristinare l'ordine. Creta, considerata la roccaforte venizelista, ritornò subito dopo nelle mani di Metaxàs. Alcuni dei leader della rivolta furono condannati a morte.
Questo fu l’ultimo tentativo di rivolta contro la dittatura. Dal 1938 fino al 1941, Metaxàs riuscì ad attuare gran parte delle proprie politiche senza problemi anche se la guerra italo - greca, scoppiata nell’ottobre 1940, attirò l’attenzione del Generale essenzialmente sul piano militare.
I risultati conseguiti dalla politica interna di Metaxàs, videro una popolazione essenzialmente neutrale: essa non fu né entusiasta della dittatura paternalista e autoritaria e delle sue riforme né completamente scontenta.
2.4 La politica estera
In politica estera, il Generale continuò a rispettare l'Intesa Balcanica e perseguì una linea di amicizia nei confronti della Germania e della Gran Bretagna, anche se, il 29 settembre 1936, in un incontro con Goebbels, non esitò a nascondere la propria ammirazione nei confronti del nazional - socialismo.
Nel febbraio 1937, si tenne una conferenza dei Balcani durante la quale il Premier turco, Ismet Inonu, fece comprendere a Metaxàs che le sue simpatie nei confronti della Germania preoccupavano gli alleati della Turchia.
Metaxàs, per convincere la scena internazionale e diplomatica che la Grecia non doveva essere identificata con nessun altro paese, si recò in visita a Roma, Parigi e Londra.
Nel febbraio 1938, durante il consiglio dell'Intesa Balcanica, la Grecia e la Turchia riconobbero la sovranità italiana in Abissinia e Atene avanzò una politica sempre più stretta con Roma culminata il 27 aprile 1938 con un Trattato di amicizia e di neutralità tra i due paesi.
In linea con una politica di rafforzamento nei Balcani, la Grecia partecipò alle conferenze sulle marine militari della Turchia, della Iugoslavia e della Romania e il 21 luglio 1938, firmò, insieme all’Intesa, un Trattato di amicizia con la Bulgaria, che in precedenza, si era rifiutata di firmare il Patto Balcanico. Con questo Trattato, la Bulgaria si liberò dalle umilianti condizioni del Trattato di Neuilly e iniziò il riarmo. Per quanto concerneva la questione del rispetto dei confini, la Bulgaria promise, nel caso di controversie, di affidarsi ad un arbitro internazionale. Inoltre, vennero meno gli obblighi concernenti la demilitarizzazione dei confini tra la Grecia e la Turchia, che erano stati predisposti in forza del Trattato di Losanna.
La visione greca della situazione internazionale nel 1939 considerava l’Italia come la minaccia più grande, dopo che questa aveva intrapreso l’avventura coloniale in Abissinia e dopo le risapute mire che nutriva nei confronti dei Balcani. Nei confronti dei vicini, la Grecia paventò, dopo l'Anschluss e il patto di Monaco, una possibile alleanza tra la Bulgaria e la Iugoslavia, in funzione antigreca. Per questo motivo, nel maggio 1938, Metaxàs si mosse nei confronti della Gran Bretagna per ottenere una garanzia di protezione contro un possibile attacco bulgaro ma senza ottenere alcun risultato.
Tra il 3 e il 6 ottobre, si rivolse ancora a Londra per stringere un'alleanza nel caso di un conflitto italo - britannico, ma anche questo tentativo fallì, spingendo il Generale a dichiarare, che in assenza di un'esplicita alleanza di garanzia, avrebbe mantenuto la neutralità. A conferma di ciò, l'8 ottobre Metaxàs dichiarò al ministro tedesco Prinz Victor von Erbach - Schonberg che la Grecia sarebbe rimasta neutrale in un conflitto tra le grandi potenze. Tuttavia, Metaxàs riportò nel Diario, il giorno 20 ottobre 1938, i propri timori per il probabile rifiuto da parte inglese di garantire l'integrità territoriale della Grecia.
I motivi per i quali la Gran Bretagna aveva opposto un rifiuto erano da ricercarsi nella mancanza di fiducia nei confronti di Metaxàs, filo tedesco nella sua impostazione ideologica. A prova di ciò, la Gran Bretagna ordinò al suo ambasciatore ad Atene, Waterlow, di esercitare pressioni sul Re affinché divenisse l'unico titolare della politica estera greca, con lo scopo di limitare e restringere l'influenza tedesca nel continente europeo. L'ambasciatore britannico non riuscì però nella sua missione poiché era Metaxàs, e non il Re, a detenere il controllo dell'esecutivo e dunque della politica estera. Difatti, agli inizi del 1939, l'ambasciatore statunitense Mac Veagh dichiarò che ormai il Re era soltanto un fantoccio in mano del "Frankestein fascista, il generale Metaxàs, forgiato dalla cultura nazista" .
Il tentativo inglese di esercitare pressioni sul Re fu scoperto dai tedeschi che riuscirono a comunicarlo a Metaxàs, il quale, ancora una volta, affermò, il 1° aprile 1939, che avrebbe mantenuto la neutralità e che non avrebbe permesso al Re filo - britannico di decidere ciò che non gli competeva.
Il 7 aprile 1939, l'equilibro dei Balcani fu scosso a causa dell'attacco italiano in Albania. Le truppe italiane, che incontrarono solo una scarsa resistenza a Durazzo, giunsero a Tirana ed instaurarono un nuovo governo. Il Re Zog e la Regina Geraldine fuggirono e trovarono asilo politico in Grecia. L'Albania divenne così un protettorato italiano. L'attacco italiano non fece aumento le preoccupazioni di Metaxàs e dell'opinione pubblica greca, timorosi che le truppe italiane potessero invadere anche l'isola di Corfù.
Nel frattempo, la Gran Bretagna aveva stipulato un accordo con l'Italia secondo il quale quest'ultima avrebbe garantito l'equilibrio nei Balcani. Tuttavia, nonostante l’assicurazione di Mussolini di non avere alcuna intenzione di invadere la Grecia, la Gran Bretagna avvertì l'Italia che ci sarebbe stata una risposta a qualsiasi tentativo aggressivo contro il territorio greco. A conferma delle parole del Duce, l'ambasciatore italiano, il Conte Emanuele Grazzi, informò Metaxàs, il 10 aprile 1939, che l'Italia avrebbe rispettato i confini della Grecia.
Il 13 aprile 1939, Chamberlain ai Comuni, Lord Halifax alla Camera dei Lords e Daladier alla stampa francese, dichiararono che la Gran Bretagna e la Francia sarebbero intervenute qualora l'equilibrio dei Balcani fosse stato minato con un attacco contro la Grecia e/o contro la Romania. Il messaggio anglo - francese era, infatti, destinato alla Bulgaria e all'Italia, ma soprattutto a quest'ultima. Nel mese dell'aprile 1939, la Grecia riuscì ad ottenere la tanta desiderata protezione unilaterale dagli inglesi contro un possibile attacco italiano. Nel frattempo, Metaxàs aveva dato ordine di mobilitare alcune divisioni dell'esercito vicino al confine albanese, in modo da frenare subito un qualsiasi tentativo d'invasione.
Il 4 agosto 1939, si festeggiò il terzo anniversario della dittatura di Metaxàs. Con l'opposizione ormai eliminata, gli elementi ex venizelisti, residenti all'estero, in vista del possibile attacco contro la Grecia, ritirarono le loro critiche a Metaxàs, che si stava comportando in modo chiaro e leale a livello diplomatico, rispettando ciò che aveva sempre dichiarato e cioè che la Grecia era amica di tutti i paesi. Tuttavia, la Grecia mantenne sempre la tradizionale amicizia con la Gran Bretagna. Metaxàs si comportò molto cautamente sul piano delle relazioni internazionali, poiché non doveva assolutamente far credere alla Germania che la Grecia non avrebbe più rispettato la neutralità per stringere invece un'alleanza con la Gran Bretagna.
Hitler, durante il convegno di Salisburgo (11 - 13 agosto 1939), manifestò le proprie intenzioni nei confronti della Polonia a Mussolini, che a sua volta intuì la possibilità di una guerra con la Francia in cui molto probabilmente sarebbe stata coinvolta l'Italia. Al suo rientrò in patria, il Duce al Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo Badoglio, le seguenti direttive per le Forze armate, come attestato dal seguente documento :
<<Ieri S.E. il Capo del Governo e Duce del Fascismo mi ha convocato nel suo ufficio e mi ha fatto le seguenti dichiarazioni (...).
Poiché finora nulla è cambiato nelle decisioni del Governo germanico, S.E. il Capo del Governo, prevedendo lo scoppio delle ostilità a breve scadenza, mi ha dato le seguenti direttive:
1) (…) ;
2) se nonostante questo nostro atteggiamento saremo attaccati dalle potenze democratiche, ogni sforzo sarà da noi fatto per assicurare l'inviolabilità delle nostre frontiere, sia della Madre Patria, sia delle colonie e a breve scadenza effettueremo un'offensiva contro la Grecia per tendere a Salonicco;
3) situazione permettendo, e solo dopo aver scatenato molti interni in Iugoslavia, ci impadroniremo della Croazia per usufruire delle notevoli risorse di detto paese;
(...) In ottemperanza agli ordini del Duce è perciò della massima urgenza che gli Stati Maggiori delle Forze Armate pongano subito allo studio:
1) l'azione offensiva contro la Grecia;
2) l'azione offensiva contro la Iugoslavia;
Per l'offensiva contro la Grecia lo Stato Maggiore del R. Esercito prenderà accordi con quello della Marina per l'immediata occupazione di Corfù, ai fini di togliere quell'importante base di appoggio all'avversario (...)>>.
Da quanto esaminato, era chiaro l’intento da parte di Mussolini di cominciare a studiare due differenti piani di attacco e, in particolare, il Generale Guzzoni, Comandante delle truppe in Albania, si mise allo studio di un piano di offensiva contro la Grecia.
Tuttavia, allorché fu discusso il piano, il Generale Guzzoni evidenziò il fatto che qualora l'Italia fosse stata attaccata dalla Francia non avrebbe potuto supportare alcuna offensiva contro la Grecia. Mussolini, al momento, fu convinto dalle parole del Generale e il 17 settembre 1939, in un colloquio gli disse: "Sapete, Guzzoni, di quella progettata azione contro la Grecia non se farà più nulla ... E' subentrata una distensione dei nostri rapporti con quel Paese ... d'altra parte la Grecia è un osso spolpato pel quale non vale la pena di perdere neppure uno dei nostri granatieri di Sardegna. Ciò che v'era di buono ce lo siamo accaparrato: intendo parlare delle miniere nelle vicinanze di Atene acquistate da noi...>> .
Il 21 agosto 1939, Metaxàs ricevette la visita di cortesia dell'ambasciatore italiano Grazzi, appuntata al rapporto (f. 6533/1014) che fu subito dopo inviato in Italia.
Il dialogo tra i due fu molto importante poiché fornì una visiona chiara di come la situazione si presentasse agli occhi delle autorità elleniche: "(...) Dopo un breve scambio di idee sulla situazione generale, che Metaxàs vede con molto pessimismo, mentre stavo per prendere congedo il Presidente mi ha pregato di rimanere, desiderando intrattenersi con me sull'insieme dei rapporto italo - greci.
Sua Eccellenza, prendendo le mosse da un colloquio che l'Eccellenza Vostra avrebbe avuto su quest'argomento col Ministro di Grecia a Roma, mi ha detto di essere profondamente dolente di dover constatare il continuo peggioramento dei rapporti italo - greci, mentre era e rimane vivissimo desiderio del Governo greco di avere con l'Italia le migliori relazioni. Egli ha iniziato una lunga esposizioni delle relazioni italo - greche, partendo dal periodo delle sanzioni, intesa a mettere in luce questo concetto: che se da parte greca possono essere stati commessi degli errori, da parte italiana si è mostrato di non annettere grande valore all'amicizia ellenica (...).
Il Presidente ha ripreso la sua esposizione ripetendo che egli all'amicizia italiana annette il massimo valore. L'aver accettato la garanzia franco - inglese non significa affatto che la Grecia si sia schierata nel campo a noi avverso. Con altrettanta sincerità e riconoscenza egli ha accettato anche la garanzia italiana.
Mi poteva assicurare sul suo onore di soldato che non esiste alcun accordo segreto coll'Inghilterra e con altre Potenze e che i recenti accordi fra la Turchia e le Potenze occidentali non influiscono minimamente sulla politica di neutralità della Grecia (...).
Il suo più vivo desidero sarebbe che da parte nostra gli venisse offerta una prova che le sue buone intenzioni sono comprese e che l'Italia annette un reale valore all'amicizia della Grecia.
Ho avuto a questo momento l'impressione che, pur senza riferirvisi espressamente, il Presidente avesse in mente la prossima scadenza del patto italo - greco.
Ho detto a S.E. che, come io avevo ascoltato la sua dettagliata esposizione, della quale apprezzavo il tono di cordiale franchezza, egli doveva permettermi di rispondergli con pari franchezza. Premesso che non potevo entrare in discussione con lui sulla nostra politica del Dodecanneso, la quale riguarda solo noi, gli ho detto essere inevitabile che in Italia esista l'impressione che la Grecia abbia accettato di divenire un anello nella politica delle Potenze occidentali. Accettare le garanzie offerte da queste ultime era già in certo qual modo una violazione di neutralità. Alle profferte anglo - francesi la Grecia avrebbe potuto rispondere, come hanno fatto gli Stati baltici, di non sentirsi minacciata da alcuno.
Il Presidente mi ha interrotto per dirmi che la situazione greca era in quel momento ben diversa da quella degli Stati baltici. Anche se egli, personalmente, era sicuro che l'Italia non nutriva propositi aggressivi verso la Grecia, l'opinione pubblica ellenica era vivamente allarmata e del resto non mancavano manifestazioni italiane, anche di stampa, che davano adito al sospetto che l'occupazione dell'Albania avrebbe avuto ulteriori sviluppi ai danni della Grecia. Egli era lieto di constatare come il contegno delle forze italiane alla frontiera greco - albanese sia stato fin dal primo giorno più che corretto: tuttavia anche in occasione della recente visita di V.E. in Albania sarebbero stati esposti in qualche località cartelli reclamanti l'occupazione della Ciamuria. Egli non poteva respingere l'offerta anglo - francese, la quale, del resto, copre anche l'eventualità di un'aggressione bulgara, senza accrescere a dismisura l'allarme dell'opinione pubblica. Gli ho risposto che questo pericolo mi sembrava grandemente esagerato. Egli era fino dal 9 aprile in possesso di una nettissima dichiarazione italiana, la quale avrebbe dovuto bastare a dissipare ogni allarme suscitato nell'opinione pubblica da una errata interpretazione di manifestazioni artamente esagerate e sottolineate dalla propaganda a noi avversa (...).
Gli ho risposto che (...) tali armamenti della Grecia, unitamente alle misure militari adottate specialmente nella zona di frontiera con l'Albania, non potevano non dare l'impressione che i preparativi militari greci siano diretti in modo speciale contro di noi.
Metaxàs mi ha energicamente ripetuto che così non è e che la Grecia deve mantenersi pronta a respingere qualunque tentativo di violazione della sua integrità territoria da qualunque parte venga, e respingerebbe con pari decisione una tale violenza anche se venisse da parte inglese. Mi ha pregato con particolare calore di riferire tali sue parole al V.E. (...)."
Dopo questa discussione tra l'ambasciatore italiano e Metaxàs, anche il colonello Mondini, addetto militare ad Atene, ebbe una discussione con il generale Papàgos, Capo di Stato Maggiore Generale, sulla questione della mobilitazione greca.
Il generale greco disse in quell’occasione, che la mobilitazione aveva luogo a causa degli italiani stessi e denunciò i troppi frequenti sorvoli del territorio greco da parte di aerei italiani; lo schieramento di quattro divisioni di fanteria, su cinque in Albania, nella provincia di Korça (ai confini con la Grecia); i discorsi allusivi ad una prossima guerra contro la Grecia, rivolti dal Generale Guzzoni ai soldati e da questi ultimi ripresi in canzonette antielleniche.
Sebbene l'addetto italiano riuscisse a ribattere ogni punto di Papàgos, i timori greci non svanirono finché l'Italia, il giorno dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, il 2 settembre, dichiarò la propria non belligeranza nel conflitto. Inoltre, a riprova delle intenzioni di Roma, l'ambasciatore Grazzi consegnò una promemoria di Mussolini a Metaxàs , redatto in questi termini:
<<I - L'Italia, ha già dichiarato in data 1° settembre che non intende assumere iniziativa alcuna di operazioni militari. II - Questa decisione del Consiglio dei Ministri, che vale in generale, vale particolarmente nei confronti della Grecia. III - Anche nell'eventualità, che l'Italia non può escludere data la sua posizione di grande Potenza, di un suo intervento nel conflitto, l'Italia non prenderà l'iniziativa di operazioni nei confronti della Grecia.
IV - Per dimostrare in modo concreto i sentimenti da cui è animato il Governo italiano e in modo speciale il Duce nei riguardi della Grecia, sarà ordinato il ritiro delle truppe italiane a 20 km dal confine greco - albanese. V - Il Duce, non esclude la possibilità, nonostante le vicende attuali, di riprendere e stabilizzare quella politica d'intesa fra l'Italia e la Grecia che ebbe consacrazione in appositi accordi di carattere diplomatico>>.
La nuova dimostrazione offerta dal governo italiana diminuì il clima d'apprensione e di timore e distese il rapporto diplomatico italo - greco. Il 22 settembre la Grecia smobilitò parte delle truppe, mentre il generale Guzzoni, comandante delle truppe in Albania, fu sostituito dal generale Geloso.
Quest'ultimo, poco prima della partenza, ebbe un colloquio con Mussolini, nel quale il Duce esordì, dicendo che le forze d'Albania dovevano garantire il possesso non soltanto nei riguardi degli Stati confinanti, ma altresì contro eventuali nemici d'oltremare. Il Generale Geloso rispose chiedendo se bisognava aspettarsi un attacco dalla Grecia o dalla Iugoslavia; Mussolini rispose : "Ho detto ai Greci che la Grecia non è sulla mia strada!" ed aggiunse che nulla era da temere da parte greca ma piuttosto dalla Iugoslavia.
Nel frattempo, il 19 ottobre 1939, fu stipulato un Trattato di alleanza tra Gran Bretagna, Francia e Turchia firmato ad Ankara, con una clausola che prevedeva: "Finché le garanzie offerte dalla Francia e dalla Gran Bretagna alla Grecia e alla Romania sulla base delle dichiarazioni del 13 aprile 1939 rimarranno in forza, la Turchia coopererà effettivamente con la Francia e la Gran Bretagna e presterà loro tutto l'aiuto e l'assistenza possibile nel caso in cui la Francia e la Gran Bretagna siano coinvolte nei conflitti in virtù delle garanzie offerte”. La Grecia accolse positivamente tale Trattato, poiché fin da tutto il mese di settembre aveva esercitato pressione sugli inglesi e i francesi affinché gli aiuti pervenissero prima di un attacco e aveva richiesto alla Turchia che si prestasse ad affrontare la Bulgaria, per agevolare nel contempo Atene e favorire le sue azioni di raggruppamento delle truppe lungo il confine albanese.
Tuttavia, prima dell'entrata in guerra dell’Italia, tra il 2 e il 4 febbraio 1940, i quattro Ministri degli Esteri dei paesi dell'Intesa Balcanica si riunirono per discutere del modo migliore di preservare l'equilibrio dei Balcani, di agevolare le riunioni e di adottare una posizione comune nei confronti della guerra in Europa. Essi inoltre decisero di estendere l'Intesa Balcanica, a partire del febbraio 1941, per altri sette anni.
Nonostante lo sforzo congiunto dei paesi balcanici di sviluppare una linea politica concorde e amichevole, la coesione dell'Intesa Balcanica vacillò subito dopo la presa della Bessarabia da parte dell'URSS; evento che indusse la Bulgaria a rivendicare alcuni territori al confine con la Romania. In questo modo, gran parte degli accordi che erano stati presi in seno all'Intesa svanirono in modo repentino.
Dopo il successo del blitzkrieg tedesco, con la conquista della Norvegia, della Danimarca, del Belgio e della Francia, i paesi dei Balcani si sentirono grandemente minacciati e abbandonarono la posizione comune, per pensare soltanto ai propri interessi. In quel momento teso e delicato, Metaxàs, indirettamente, comunicò ai tedeschi che non avrebbe mai lasciato le isole agli inglesi o ai francesi senza combattere; inoltre, ammonì l'Italia di non intervenire nei Balcani; in tal modo, la Gran Bretagna non sarebbe dovuta intervenire a fianco della Grecia, e non avrebbe posto quest'ultima in una posizione di contrasto con l'Asse.
Assieme alla Grecia, che aveva assunto una posizione di neutralità, si schierò anche la Turchia, mentre la Bulgaria e la Iugoslavia si allinearono alle posizioni sovietiche. La Romania, invece, rifiutò il Trattato di garanzia offerto dalla Gran Bretagna.
Le relazioni italo - greche rimasero tranquille fino al 10 giugno 1940, data in cui Mussolini decise di entrare in guerra, annunciando al mondo : "dichiaro solennemente che l'Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa confinanti per terra o per mare. Svizzera, Iugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole. Dipende da loro e soltanto da loro se esse saranno o no rigorosamente confermate.". Quest'ultima frase rigettò lo sconforto e riaccese in seno all'opinione pubblica greca. il timore di una guerra imminente. L'ambasciatore Grazzi riferiva nella sua opera: "Non vi fu in tutta la Grecia una sola persona che non considerasse come una calamità l'entrata in guerra dell'Italia".
Per diversi motivi, quali l'incidente di Corfù del 1923, l'annessione dell'Albania, la concentrazione di 125.000 uomini in territorio albanese a ridosso del confine greco, e una serie di attacchi contro unità navali militari e mercantili, la Grecia di Metaxàs non si fidò delle parole di Mussolini.
Subito dopo l'entrata in guerra dell'Italia, la Germania fece comprendere alla Grecia che sarebbe stata la benvenuta nello schieramento dell’Asse. Sebbene l’appello non avesse alcun seguito, i tedeschi tentarono di utilizzare alcuni ufficiali greci per persuadere Metaxàs a schierarsi a fianco della Germania. Ancora, il 29 luglio 1940, la Germania promise che avrebbe protetto la Grecia dalle mire territoriali bulgare se la stessa Grecia si fosse apertamente dichiarata a fianco dell'Asse.
Metaxàs, tuttavia, non credeva alle lusinghe di Berlino poiché era convinto che nonostante tutto, il Fuhrer – ammiratore della civiltà ellenica - avrebbe comunque impedito al popolo slavo - bulgaro di penetrare in territorio greco. Inoltre, Metaxàs doveva mantenere una linea neutrale, come aveva promesso, senza "tradire" troppo la Gran Bretagna e la sua spontanea offerta di protezione.
L'Italia, nel contempo, cercò il casus belli con la Grecia e il 15 agosto, l’incrociatore Helle (2115 tonnellate) fu affondato dai siluri italiani; l’affondamento aveva un particolare carattere simbolico poiché si trattava della nave che aveva riportato re Giorgio II in Grecia; l’evento ebbe luogo nel porto di Tenos in occasione di una festa religiosa. Nell'attacco, perse la vita un membro dell'equipaggio e ci furono 26 feriti.
Nei due giorni seguenti, gli Italiani bombardarono con aerei due cacciatorpediniere greci ma senza arrecare alcun danno.
Nel frattempo, a partire dall'11 agosto, la stampa italiana aveva cominciato una massiccia campagna radiofonica e giornalistica contro la Grecia intorno all'assassinio dell'albanese Daut Hoxha, che secondo i media era stato ucciso da emissari greci, e la cui testa mozzata era stata esibita in alcuni paesi allo scopo di intimidire l'irredentismo ciamuriota. In realtà, Daut Hoxha era un delinquente comune con un impressionante curriculum giudiziario, che era stato assassinato da due albanesi dello stesso calibro per la taglia che le autorità greche avevano messo da tempo sulla sua testa. La Grecia, rispose ufficialmente alla campagna stampa ribadendo che si trattava solamente di un brigante ucciso da altri due compatrioti sicari.
Questo contegno italiano nei confronti della Grecia era da spiegarsi anche in forza dei fatti, come testimonia Ciano nel suo Diario, che i britannici erano già presenti nel territorio greco e che la Ciamuria, una regione greco - albanese, era in gran parte irridenta e avrebbe appoggiato un attacco italiano. La giornata del 3 luglio era così riportata da Ciano nel suo Diario: "Ho parlato a voce alta al Ministro di Grecia. De Vecchi telegrafa che le navi inglesi, e poi anche gli aerei, trovano in Grecia asilo, rifornimenti e protezione. Mussolini è furioso. E' deciso, qualora questa musica dovesse durare, a passare all'azione (...)". Nel giornata del 10 agosto, scrisse: "Parlo con Mussolini delle difficoltà sorte al confine greco - albanese. Non è il caso di drammatizzare la situazione, ma l'atteggiamento greco è molto infido. Il Duce medita << un gesto di forza, anche perché dal 1923 ha un conto in sospeso e i greci si illudono se pensano che egli abbia dato il colpo di spugna (...)>>".
Ancora, nella giornata dell'11 agosto: "Mussolini parla ancora della questione greca e vuole sapere particolari sulla Ciamuria. Ha preparato una Stefani che comincerà ad agitare il problema. E mi ha fatto convocare a Roma Jacomoni e Visconti Prasca, coi quali intende conferire. Parla di un attacco a sorpresa alla Grecia verso la fine di settembre. Se così ha deciso, penso che conviene stringere i tempi. E' pericoloso dare ai Greci la possibilità di prepararsi (...)".
Nell'incontro avvenuto il 12 agosto, tra Visconti Prasca, Jacomoni e il Duce, Ciano raccontò:" Accompagno dal Duce Jacomoni e Visconti Prasca. Il Duce fissa le linee politiche e militari per l'azione contro la Grecia. Se la Ciamuria e Corfù verranno cedute senza colpo ferire, non chiederemo di più. Se invece verrà imbastita una resistenza, spingeremo l'azione a fondo. Jacomoni e Visconti Prasca vedono l'azione possibile ed anche facile, a condizione però che si faccia presto. Il Duce, invece, permane d'avviso, per ragioni d'ordine militare generale, di rinviare l'azione verso la fine di settembre" (Diario di Ciano).
Il Generale Visconti Prasca era stato fatto chiamare dal Duce senza informare i suoi superiori, vale a dire il Capo di Stato Maggiore Generale e lo Stato Maggiore dell'Esercito. A conferma della "segretezza" di quell'incontro, è testimonianza una lettera scritta il 17 agosto da Visconti Prasca al generale Soddu, nella quale non vi era un minimo accenno all'incontro con Mussolini, ma soltanto l'affermazione che si stava preparando un piano d'attacco contro la Grecia con la conquista della Ciamuria, abitata da una minoranza albanese che confidava nell'appoggio italiano, dopo l'uccisione del "patriota" Hoxha .
Lo stesso giorno, giunse a Roma un messaggio da Berlino nel quale Ribbentrop fece comprendere all'Italia che un attacco contro la Grecia avrebbe potuto indurre l'URSS ad intervenire nei Balcani, con la conseguenza negativa di modificare lo status - quo che i tedeschi “avevano sommo interesse a mantenere”.
La risposta italiana fu molto sfuggente : "(...) Con la Grecia stiamo portando vertenza su piano diplomatico e ci limitiamo a rinforzare con altre divisioni, attuali sei divisioni che presidiano Albania".
Essa, infatti, non toccò gli argomenti della Ciamuria, di Hoxha e di alcune unità militari britanniche presenti in Grecia, con la chiara intenzione di lasciare all'oscuro le autorità tedesche della volontà indipendente di Mussolini di avviare una guerra parallela.
Più tardi, nel mezzo del mese di ottobre, la stampa italiana continuò ad accanirsi contro la Grecia a favore delle ragioni degli Albanesi in Ciamuria, domandando esplicitamente la cessione dello Stretto di Jannina, della costa dell'Epiro e di Preveza. A conclusione della campagna “antigreca” italiana, il 27 ottobre avvenne un'esplosione nel porto di Santi Quaranta vicino al confine greco. Gli Italiani accusarono agenti greci e/o britannici di averlo compiuto. Con quel pretesto, il giorno seguente, il 28 ottobre 1940, l'ambasciatore italiano Emanuele Grazzi presentò, alle 3.00 del mattino, un ultimatum a Metaxàs. L'ultimatum sarebbe scaduto alle 6 di mattino. Esso chiedeva il passaggio di truppe italiane in alcuni punti strategici (non specificati) e prometteva il rispetto della sovranità greca. Metaxàs, oppose un fiero "no" (megali ochi) ed esclamò: "Questo è equivalente ad una dichiarazione di guerra". Metaxàs mobilitò subito tutti gli uomini poiché gli italiani avevano già varcato il confine alle 5.30 senza neanche aspettare la fine dell'ultimatum. Scoppiò così la guerra italo - greca e nei mesi successivi all'attacco, le truppe greche riuscirono a respingere l'invasore, con una serie di vittorie, rispettivamente a Korce (Koritsa) il 22 novembre, a Sarande (Aghii Saranda) il 6 dicembre e a Gjirokaster (Arghirokastro), l'8 dicembre. All'inizio del 1941, la Grecia riuscì ad assicurarsi un terzo del territorio albanese quasi arrivando al porto di Vlore (Valona), punto cruciale per gli approvvigionamenti italiani. Gli italiani alla fine di febbraio contavano 100.000 morti e 23.000 prigionieri. La Grecia riuscì dunque a respingere l'Italia e Metaxàs fu acclamato in patria anche dall'opposizione per la grande prestazione ottenuta e per aver conquistato parte del territorio albanese.
Durante la guerra, Churchill dichiarò il sostegno della Gran Bretagna in difesa della Grecia. I responsabili militari (anche se non concordi) inviarono quattro squadriglie di aerei. Metaxàs, tuttavia, nel gennaio 1941, rifiutò altre truppe dalla Gran Bretagna poiché non voleva che Hitler potesse attaccarlo basandosi sul presupposto della violazione della neutralità.
Ma dietro l'invio di truppe britanniche, vi era la volontà di Churchill di dare sostegno agli Jugoslavi (fortemente pressati dai tedeschi) e ai Turchi affinché combattessero contro i nazisti.
La politica estera di Metaxàs si concluse dunque con un successo contro l'Italia ma fu seguita dalla terribile invasione tedesca a partire dall'aprile 1941 che dette inizio alla resistenza greca e alla cooperazione con la Gran Bretagna.
2.5 La fine della dittatura di Metaxàs e l’invasione tedesca
Metaxàs morì il 21 gennaio 1941 nella sua modesta casa di Kifissia alle 5.30 del mattino.
Nel certificato medico ufficiale, la causa della morte fu una setticemia provocata da un'infezione dello streptococcus. Tuttavia, vi sono alcune versioni che vogliono che Metaxàs sia stato ucciso da qualche agente italiano o persino britannico, che aveva fornito poco prima della morte, l'ossigeno a Metaxàs tramite una bomboletta e avrebbe aspettato che questi morisse. Invero, anche se queste versioni rimangono soltanto delle speculazioni, la figlia di Metaxàs, Loula, aveva già scritto precedentemente che il padre aveva una malattia e che soffriva di disturbi al fegato.
Il Generale era consapevole che la dittatura sarebbe caduta insieme a lui e per questo motivo predispose un vero e proprio testamento politico.
Tale testamento prevedeva una nuova forma di governo e una nuova costituzione. Secondo i desideri di Metaxàs il Re avrebbe dovuto scegliere il Primo Ministro e con lui formare il Gabinetto. In sostituzione del tanto odiato Parlamento, Metaxàs immaginava tre consigli rappresentativi e ottanta consigli legislativi, esecutivi e giudiziari composti di quaranta consiglieri ciascuno. Questo insieme di consigli avrebbe svolto soltanto una funzione consultiva; nel caso in cui fosse nata un'incompatibilità tra il Governo e i Consigli, sarebbe stato indetto un plebiscito sulla questione. Soltanto al Governo spettava l'iniziativa legislativa. Il sistema partitico non sarebbe esistito e i diritti individuali avrebbero dovuto essere sottomessi alla società e allo Stato. I Consiglieri non avrebbero dovuto percepire salari e sarebbero stati rimborsati soltanto se la loro funzione avesse disturbato le loro attività.
Nell'ambito professionale, ognuno avrebbe dovuto lavorare. I disoccupati avrebbero dovuto perdere i diritti politici. Lo Stato avrebbe avuto il totale controllo dei benefici sociali delle proprietà private. I media sarebbero stati al servizio dello Stato. Il Primo Ministro eletto dal popolo con i 2/3 dei voti o altrimenti scelto direttamente dal Re. Per diventare Primo Ministro bisognava aver prestato il servizio militare e per le donne aver compiuto trenta anni.
Questo era il testamento di Metaxàs che ricalcava in gran parte il modello della sua vecchia dittatura.
Al Generale, successe Alèxandros Korizis, nominato da Re Giorgio. La politica estera della Grecia ebbe una svolta brusca e non mantenne più la severa neutralità imposta da Metaxàs. Infatti, poiché si temeva sempre di più, dopo la sconfitta italiana, l'invasione tedesca, tra il 22 e 23 febbraio 1941, una missione della Gran Bretagna in Grecia, con a capo, Eden, il maresciallo Dill, capo di Stato Maggiore imperiale, il generale Wavell, comandante in capo delle forze in Medio Oriente, discusse con il Re Giorgio, con il nuovo primo ministro Korizis e con il generale Papàgos la questione dell'imminente attacco tedesco. La Grecia comunicò che era disposta a resistere contro i tedeschi.
Il successivo incontro nella città di Tanoi fu caratterizato però da un malinteso poiché i britannici ebbero l'impressione che Papàgos fosse disposto a ritirare le truppe dalla linea Metaxàs, all'altezza della frontiera bulgara, verso una posizione più difendibile, la linea del fiume Aliakmon, nella Macedonia occidentale. Diversamente, Papàgos riteneva che l'arretramento dipendesse dalla decisione iugoslava di resistere ai tedeschi. Il malinteso si tradusse in una perdita di tempo e in una delle cause del fallimento dell'operazione Lustre, cioè l’invio della spedizione britannica. La legazione tedesca nel paese osservò fin da subito i movimenti dei britannici in Grecia e il 6 aprile, alle 6.30 del mattino, l'ambasciatore tedesco avvertì che la Germania avrebbe invaso la Grecia poiché truppe britanniche erano presenti in Grecia. L'operazione tedesca Marita si avviò poderosa e a livello politico portò come conseguenza, il suicidio di Korizìs il 18 aprile. Il successore, Emmanuil Tsuderos, banchiere, divenne il Primo Ministro ma non riuscì a far fronte all'invasione tedesca, che nel frattempo aveva superato la resistenza lungo la linea Metaxàs, inducendo adirittura il Generale Tsolàkoglu, comandante dell'armata della Macedonia orientale, alla resa il 20 aprile senza autorizzazione del governo. I tedeschi decisero allora di puntare verso Atene mentre il Re e il governo si trasferirono a Creta, considerata una roccaforte inespugnabile. Nel maggio 1941 Creta fu pesantemente bombardata dai tedeschi e fu conquistata agli inizi di giugno, mentre le truppe greche e britanniche si rifugiarono in Egitto. La Grecia cadde completamente nelle mani dell'Asse, poiché era stata già inizialmente provata dallo scontro con l'Italia e poi completamente invasa dalla potente armata tedesca. Essa fu divisa in tre zone d'occupazione assegnate rispettivamente alla Germania (che occupò la parte più importante), all'Italia e alla Bulgaria. Il regime dittatoriale di Metaxàs era oramai caduto e il governo fantoccio del generale Tsolakoglu si dimostrò del tutto imbelle. Il resto del governo e il Re si rifugiarono a Londra.
Mogens Pelt, “The establishment and the development of the Metaxas Dictatorship in the context of Fascism and of the Nazism, 1936 – 1941”
CONCLUSIONI
Dopo aver analizzato la storia della dittatura di Metaxàs vorrei chiarire meglio alcuni dei "problemi" che ho analizzato nella tesina, alla luce delle conoscenze e dei dati disponibili. Innanzitutto vorrei classificare il tipo di dittatura instaurata da Metaxàs e comprendere se essa sia stata di tipo totalitario o, diversamente, autoritario. Il dubbio sorge dal fatto che molti degli autori consultati non esprimono un comune giudizio a riguardo, probabilmente perché non esiste una concezione precisa o una classificazione "oggettiva" delle dittature nelle scienze sociali. Tuttavia, ritengo fondamentale, per chiarire questo dubbio, l'utilizzo di quattro elementi che sono individuabili in ogni dittatura: l'ideologia, la mobilitazione, il pluralismo e la leadership, che riprendo dalla classificazione operata dagli autori Stepan e Linz. Il diverso grado di questi elementi e la loro combinazione denotano un diverso tipo di dittatura. In riferimento alla dittatura in questione, l'ideologia, come già detto, riprendeva in gran parte il modello nazional - socialista e non apportava quasi nulla di innovativo. Essa si poneva entro i poli della dialettica ideologica del tempo: estrema destra, nazional - socialismo, fascismo e dall'altro polo, estrema sinistra, comunismo. Tuttavia, nel caso greco, l'ideologia dovette essere "inventata" poiché non aveva avuto, prima della dittatura, una base sociale o un movimento di massa che l'avesse ispirata o supportata, come era successo in Germania e in Italia. Metaxàs ha imposto così una dittatura e una ideologia ad un popolo oramai stanco della politica e scarsamente fiducioso nelle istituzioni del governo e del parlamento, dopo un passato di continua destabilizzazione e di crisi parlamentare. In questo senso non si può definire l'ideologia del governo Metaxàs come l'ideologia nazista e comunista, ideologie - guida tese al raggiungimento di un'utopia e supportate da un gran seguito di massa e dalle attività del partito.
Se si passa a considerare il pluralismo politico, sociale ed economico nella dittatura di Metaxàs, si può affermare che esso non era completamente eliminato come invece accadde spesso nelle dittature totalitarie. Nonostante le operazioni di polizia ai danni degli avversari politici, molti dei partiti, tra cui quella populista e quello liberale continuarono le proprie attività anche se non erano più coinvolti nel Parlamento. Diverso fu l'atteggiamento nei confronti del Partito Comunista greco (KKE) ma ciò, in ogni modo, non deve distogliere dal fatto che il pluralismo politico, anche se in parte, fu mantenuto. Nell'ambito del pluralismo economico e sociale la legislazione lavorativa doveva considerarsi come un tentativo di omogeneizzazione ma se si valuta che essa non attecchì completamente e che lasciò quasi invariate le condizioni rispetto a quelle prima della dittatura, si può concludere che fu preservato anche il pluralismo economico e sociale.
Per quanto concerne la mobilitazione, in altre parole, il consenso popolare, essa fu il fattore meno "forte" in Grecia poiché la popolazione non fu entusiasta e né trainata dalla dittatura di Metaxàs. Anzi, fu lo stesso dittatore insieme al segretario addetto alla Stampa e al Turismo, a creare e diffondere l'ideologia ufficiale del regime con lo scopo di coinvolgere le masse e di renderle maggiormente coese e legate allo stato. Tuttavia, più di una volta, Metaxàs espresse un giudizio negativo sulla società greca, affermando che i greci erano sempre stati individualisti e poco uniti. Da qui, l'esigenza di imporre una ideologia che compromettesse i singoli interessi a favore del benessere della società. Dunque, la mobilitazione greca non fu intensa e né di natura spontanea,anzi, fu completamente coatta e non somigliante a quella che si può osservare sotto una dittatura totalitaria.
Riguardo all'ultimo elemento, la leadership, Metaxàs impersonò la figura del dittatura piuttosto bene e non fu esente dal culto della personalità. La sua figura mise in ombra quella del sovrano e dominò completamente il proprio governo, anche se altri elementi erano abbastanza liberi di agire, sempre per conto del regime. La leadership di Metaxàs fu messa in crisi varie volte dai tentativi di assassinio e dalla rivolta di Creta, tutti repressi e controllati. Tuttavia, la leadership di Metaxàs non fu priva di limiti e il Re aveva sempre il potere di chiedere le sue dimissioni. Inoltre, anche la Chiesa giocò un ruolo determinante e non pose Metaxàs al centro di ogni attività politico - sociale del paese, come invece accadde nel caso nazista o in quello comunista.
In conseguenza di ciò, si può dunque affermare che la dittatura di Metaxàs fu di tipo autoritario.
Un'altra questione dibattuta è quella sulla nascita e l'instaurazione della dittatura di Metaxàs e sulla individuazione delle sue cause.
Metaxàs dichiarò di aver imposto la dittatura poiché temeva una rivoluzione comunista in Grecia. Ma la rivoluzione comunista era veramente un pericolo concreto e attuabile?
A questa domanda rispondo premettendo un profilo storico - politico del partito comunista greco. Esso, nato nel 1918, ebbe sempre uno scarso seguito: nelle elezioni del 1923 raccolse appena 20000 voti su 800000; nelle elezioni del 1926 ottenne 42000 voti e 10 seggi. Quando Venizèlos ritornò al potere e pose fuori legge il KKE, esso ottenne soltanto 14000 voti su 1 milione e nessun seggio.
Il Partito fu attraversato da una lotta intestina tra l'ala nazionalista e quella internazionale, filosovietica. Alla fine del conflitto prevalse quella sovietica e rappresentante fu il famoso Nicola Zachiariadis, di origine anatolica, e a capo del Partito sin dal 1931 e suo Segretario Generale nel 1933.
In quegli anni, tra il 1932 e il 1933, il KKE raggiunse circa 50000 voti (5% dell'elettorato). Il maggiore risultato fu conseguito nelle elezioni del 1935 con 99000 voti (10% dell'elettorato) mediante alleanze con gli altri partiti di sinistra.
Durante le elezioni del gennaio 1936, il Partito ottenne 73500 voti e 15 seggi su 300, e si trovò in una posizione di arbitro tra il grande gruppo dei liberali e dei populisti.
La sua organizzazione politica era basata su "cellule" territoriali (o di fabbrica) e su enti. I "Capi cellula" entravano a far parte delle cellule di livello superiore. Sopra le cellule, vi erano i Comitati di coordinamento delle varie attività del Partito, i cui rappresentanti operavano anche sotto l'indirizzo ed il controllo degli organi specializzati dei Comitati dei livelli superiori.
Il territorio greco era diviso in ripartizioni territoriali presiedute da un Comitato regionale; a livello superiore vi era il Comitato Centrale, presieduto dal Segretario Generale. Le nomine ai livelli superiori avvenivano per cooptazione e l'intero sistema organizzativo si basava sul principio del centralismo democratico, vale a dire sul controllo totale dell'intera l'organizzazione.
Il Partito Comunista Greco era, dunque, un partito di Quadri, di entità sempre relativamente esigua; ma la sua influenza ebbe modo di esercitarsi negli ambienti più vari. La strategia politica principale del Partito fu quella di inserire la propria azione in un ampio "Fronte" di sinistra, che coinvolgesse altre forze politiche e tendesse ad isolare le forze politiche avversarie.
Nel 1936 il Partito Comunista, nonostante il proprio seguito esiguo ed un'organizzazione composti di 3000 persone in tutto il paese, riuscì ad organizzare una serie di proteste e di scioperi che motivarono poi Giorgio II ad affidare pieni poteri a Metaxàs.
Dopo la dura protesta tra l'8 e il 9 maggio e dopo la circolazione del manifesto il 13 maggio, il partito comunista aveva buone probabilità di scatenare un'ondata di rivolta in tutto il paese, prendendo a pretesto i bassi salari e l'acuta ripercussione della Grande Depressione in Europa.
A prova di ciò, infatti, il 14 aprile 1936, Metaxàs riuscì a mobilitare parte delle sue truppe in alcune regioni strategiche (Macedonia Occidentale, Peloponneso, Larissa) con lo scopo di prevenire qualsiasi altra agitazione o protesta. Il Generale, in tal modo, dopo aver notato il carattere "epidemico" delle proteste volle appunto prevenire qualsiasi altra sommossa. La velocità con cui Metaxàs riuscì a riprendere saldamente il controllo in mano fu motivo, lo stesso 14 aprile, delle parole delle Segratario Generale del KKE, Zachariadis, che affermò che il Partito Comunista aveva mancato di :"mobilità e allo stesso tempo hanno fallito nel perseguire le decisioni che si erano prese".
Lo stesso giorno, il Segretario Generale del KKE, Zachariadis affemò che i comunisti hanno mancato di : "mobilità e allo stesso tempo hanno fallito nel perseguire le decisioni che si erano prese". Le decisioni, o meglio, in senso lato, la strategia del KKE era quella di apportare una rivoluzione comunista nella società greca, sia mediante la forza militare, sia mediante l'ascesa e la conquista politica al potere.
Anche se difficilmente realizzabile i propositi del Partito Comunista ellenico erano stabiliti e ogni attività politico - sociale del Partito fu tesa al raggiungimento di quegli scopi. Quindi, da una parte, la stessa continua intenzione e la motivazione di base rappresentavano di per sé una minaccia non trascurabile; inoltre, considerate le numerose sommosse e gli scioperi, il partito comunista era riuscito ad estendere il proprio seguito e godere di una base sociale più ampia. Probabilmente, questi elementi collocati in un quadro differente, privo dell'intervento di Metaxàs, avrebbero potuto raggiungere un diverso grado di intensità e permettere così al Partito Comunista di tentare di attuare il progetto rivoluzionario in Grecia. Per questo motivo, anche se di tono esagerato, le motivazioni di Metaxàs per instaurare la dittatura erano in parte vere e il pericolo non doveva, per il regime stesso e per la sua salvezza, era sottovalutato. Ad ogni modo, oltre a questa specifica causa, se ne posso aggiungere delle altre, che renderebbero il quadro della fase di transizione governativa greca più chiaro e completo. Una è quella relativo al quadro internazionale, che vedeva l'instaurazione, tra le due guerre di numerose dittature di destra nel continente europeo. Il nazismo e il fascismo conquistavano sempre più consenso, dopo la crisi economica provocata dal crollo della Borsa di Wall Street nel 1929, che doveva considerarsi alla stregua di un'altra causa di natura esterna. Diversamente, a livello interno, il fenomeno politico dello Scisma nazionale, fu determinante a creare una continua instabilità politica a partire dal 1914 fino al 1936. Le continue epurazioni e i rovesci di governo, le dittature militari e l'aspro contrasto tra i monarchici e i venizelisti hanno decretato la crisi permanente del parlamento, compromettendo un importante principio democratico per molti anni. Infine, la morte di Venizélos, Kondìlis, Tsaldàris, tre dei leader principali politici in Grecia, spianò casualmente l'ascesa al potere a Metaxàs. Con quest'ultima causa, concludo le mie osservazioni e le mie critiche sulla dittatura del Generale Ioannis Metaxàs.
Bibliografia
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