July 20, 2003
Nascita di un'idea (1926 - 1945) 1. Il dibattito tra le due guerre Soltanto dopo le due guerre mondiali, considerate "fratricide", l'idea di Europa sempre sognata ed idealizzata si è trasformata in un progetto politico concreto. Numerosi sono stati gli intellettuali, che già prima delle guerre avevano riflettuto sull'idea d'Europa. Uno degli argomenti dibattuti riguardava il declino dell'Occidente, con il significativo pensiero di Spengler, riassunto nell'opera "Il tramonto dell'Occidente", al quale si accostavano altri intellettuali come André Gide, Paul Valery e Julien Benda che ritenevano necessaria una ricostruzione dei valori comuni ed estetici dell'Europa, come presupposto fondamentale per l'unità. Altri intellettuali, invece, pensarono l'Europa come una necessità geopolitica dinanzi alle grandi potenze, come l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti e il Giappone. Su questa linea di pensiero, si mosse il famoso conte austriaco Richard Coudenhove Kalergi che divenne successivamente fautore dei primi movimenti federalisti in Europa. Altro pensatore di riguardo fu Ortega Y Gasset, il quale già vedeva l'Europa come una realtà esistente e costituita; e insieme a lui vi era Jacques Leclerq che ormai considerava l'Europa come un fenomeno inevitabile. Diversamente, l'Europa, secondo la visione di Churchill, doveva essere subito formata per difendersi dal pericolo dell'incombente fenomeno della bolscevizzazione. Churchill si fece promotore per la creazione degli Stati Uniti d'Europa e per altri importanti eventi che caratterizzarono i primi movimenti federalisti, senza tuttavia implicare direttamente la Gran Bretagna nella politica di unità continentale. Difatti, stante un'intervista rilasciata sul giornale "Saturday evening post", Churchill fece comprendere come la Gran Bretagna non facesse parte del continente europeo, ma, diversamente, fosse invece una potenza imperiale legata a diversi continenti. Per il ministro francese Briand, l'Europa non doveva essere unita ma divenire un'unione. Ciò significava che ogni progetto multilaterale economico e politico sarebbe stato accettato ad eccezione di non compromettere la sovranità politica di ciascun stato che ne avrebbe fatto parte. Ed insieme a Briand vi era la lungimirante posizione dell'economista Strasemann il quale già auspicava la circolazione di una moneta unica, mentre il britannico Keynes vedeva nell'impasse creata dalle dogane un forte vincolo alla rinascita economica e di conseguenza politica dell'Europa. Al momento della crisi economica che culminò nel crollo della borsa di Wall Street, le misure di politica economica protezioniste operate dagli Stati Uniti e conseguentemente dal Regno Unito e da altri stati, misero in crisi il settore statunitense delle esportazioni. Per questo motivo, per i democratici americani, l'unica via per risolvere la crisi era di sviluppare ed incentivare gli scambi internazionali con gli altri paesi. Molti autori, allora, auspicarono anche un'unità europea dal punto di vista economico. Tra questi si annoverano i francesi Eduard Henriot e Yves Le Trocquer. La crisi economica statunitense si propagò anche in Europa e questo fu un altro motivo che spinse l'economista francese, Francis Delais, a progettare un insieme di riforme economiche e un piano di ricostruzione e di comunicazione in tutta Europa, comprendente strade, ferrovie, canali, e così via. Nel frattempo, mentre ogni stato cercava di risolvere i problemi economici causati dalla recessione statunitense, nel 1935 l'appello del conte Kalergi si disperdeva e così anche il suo movimento paneuropeo, oscurato e contrastato dal dilagare del nazismo che concepiva l'Europa in un modo completamente diverso. Essa, secondo la visione nazista, si sarebbe dovuta creare sotto l'egida della razza ariana e della Mittleuropa che ne avrebbero rappresentato l'insieme politico ed economico, contro il pericolo degli ebrei, del comunismo e delle altre potenze. 2. L'unità europea e la Resistenza L'idea di Europa fu caldeggiata dalla Resistenza dei paesi europei, tuttavia, essa non riuscì a prendere corpo in movimenti organizzati e concreti. Questo aspetto si collega indubbiamente all'ideologia marxista - lenisista, che fu alla base ideologica e politica di numerosi movimenti della Resistenza; in essa, lo stesso concetto di Europa unita urtava con il concetto di lotta di classe e con l'internazionlismo marxista. E oltre a ciò, secondo la visione di Lenin, tale idea era utopica perché presupponeva un'equilibrio delle economie dei paesi d'Europa e dunque una mancanza di differenza economica tra i vari paesi e dunque tra le varie classi sociali. Da questa mancanza non poteva nascere la dialettica e lo scontro servo/padrone riflesso nel rapporto proletariato/borghesia e di conseguenza la stessa esortazione alla lotta di classe sarebbe venuta meno insieme ad altri presupposti che sono alla base dell'ideologia comunista. In Francia, la Resistenza da parte dei gruppi "Combat" e "Cahiers politiques" avevano abbozzato qualche idea di Europa unita. Il partito MRP, il "partito della fedeltà a De Gaulle", al contrario, non aveva fatto alcun accenno all'Europa nel suo programma politico. Diverse, invece, erano le problematiche che premevano il generale, prima fra tutte, quella della ricostruzione della Francia nel dopoguerra. In Germania, la resistenza è stata denominata "spirituale" proprio per il motivo che non ha agito nel concreto come le altre resistenze europee. Uno dei più importanti punti di riferimento della resistenza tedesca è rintracciabile nel circolo "Kreisaeur". Questo gruppo credeva nella federazione dei paesi d'Europa e dunque poneva fiducia nel conferire sovranità politica all'Europa a discapito di quella di ogni singola nazione. Invero, era arrivata ad idealizzare una moneta unica, un'economia comune e libera, priva di barriere doganali. Sempre nel panorama della resistenza tedesca, sono da ricordare le figure di Goering e Junger che arrivarono a sperare un'unione dei popoli d'Europa. Riguardo agli altri paesi, Belgio, Olanda e Lussemburgo, la Resistenza non segnò alcun riferimento all'Europa in senso federale. Nondimeno, nel 1943, Van Zeeland, primo ministro belga propose l'unione doganale tra i paesi del Belgio, Lussemburgo e Olanda. Si configurava così una prima idea di libero scambio tra questi paesi, voluta anche dal lussemburghese Joseph Bech che a suo avviso, avrebbe potuto comprendere anche quel territorio tedesco che doveva formarsi secondo le disposizioni del piano Morgenthau, successivamente abbandonato. 3. Il Manifesto di Ventotene: realtà e utopia In Italia, il movimento della Resistenza ha favorito invece iniziative particolarmente importanti. Diverse sono state le personalità che hanno riflettuto sull'Europa e che hanno contribuito in modo concreto alla sua formazione. Le prime idee cominciarono già a fermentare prima della guerra, durante il ventennio fascista. All'epoca, nel 1918, Luigi Enaudi pensava ad un'entità istituzionale in grado di sostituire la Società delle Nazioni. Quest'entità istituzionale doveva considerarsi come una sorta di super - stato al quale spettava una sovranità superiore rispetto ai singoli stati che ne avrebbero preso parte; per di più, il disegno di Enaudi prevedeva che tale super stato avesse un proprio esercito, una propria amministrazione e potesse regolamentare le attività finanziarie in modo indipendente. Tale visione federalista di una possibile unità europea era condivisa anche da Giovanni Agnelli, Filippo Turati e Attilio Cablati. Accanto a queste personalità, vi era quella di Carlo Rosselli, futuro fondatore del Partito d'Azione, che fu uno dei partiti più votati ed inclini alla federazione europea. Carlo Rosselli, già nel 1935, auspicava la creazione di un'assemblea federale europea e riteneva fondamentale creare un ponte di contatto culturale tra le masse e l'ambito progetto federale di un'Europa unita. Queste due esigenze trovarono dispiegamento nella formazione del primo Movimento Federale Europeo (MFE) che nacque in Italia nel 1943, seguito dalla formazione di quello francese nel 1944. Ritornando al PdA, il Partito d'Azione di Rosselli, esso si distinse tra gli altri partiti italiani antifascisti nell'apportare un serio contributo al federalismo europeo. All'esecutivo del partito vi era Altiero Spinelli, il redattore del Manifesto di Ventotene. Il programma politico del Partito d'Azione, riprendeva i punti chiave indicati da Rosselli ed inoltre chiedeva allo stato italiano di fissare nella propria costituzione la possibilità di trasferire la sovranità politica ad una federazione europea, e che la politica estera italiana non potesse impedire l'adesione ad una federazione europea. Queste erano delle richieste fondamentali che distinguevano il Partito d'Azione da tutti gli altri per la causa europea. Mentre la democrazia cristiana non assumeva posizioni determinate, concependo un'unione non in senso strettamente europeo ma priva di limiti, dove paradossalmente anche l'Unione Sovietica ne avrebbe potuto prendere parte, il PSIUP, inizialmente influenzato dall'alleanza con il PCI, al momento della rottura, auspicò una federazione europea priva di alcuna base ideologica. Diversamente, per il PCI, ci volle molto tempo, prima di approdare ad idee in senso europeista. Pensatori moderati rimanevano Einaudi, insieme a Silvio Trentin fondatore del gruppo francese "Libérer et Fédérer", Eugenio Colorni, Carlo Rosselli ed Altiero Spinelli. Tutti questi pensatori erano stati influenzati dal pensiero del gruppo anglosassone "Federal Union" composto da Lord Lionel Robbins e Lord Lothian che mossi contro l'imperante nazionalismo economico negli anni '30, desideravano una federazione europea. Ma il contributo di Altiero Spinelli, mediante il famoso Manifesto di Ventotene si porta ben oltre le richieste del "Federal Union". Nel Manifesto, scritto durante la prigionia a Ventotene, insieme a Colorni e a Rosselli, Spinelli ritiene necessaria la creazione di un'Europa unita, con una rivoluzione che si sarebbe dovuta spiegare in ogni ambito, da quello economico, a quello sociale, culturale e politico. La federazione europea doveva surrogare l'istituzione dello stato - nazione. Tale progetto voleva scardinare i limiti dello stato - nazione, della localizzazione delle rispettive culture nazionali, e creare un movimento di ampio respiro che potesse coinvolgere un numero sempre più grande di persone, mediante l'attività di veri e propri professionisti impegnati in questa causa. E il federalismo spinelliano si pose subito come un'ulteriore visione internazionale che si scontrò ben presto contro quella dell'internazionalismo marxista. 4. Crisi del federalismo nel secondo dopoguerra Nel secondo dopoguerra, il federalismo segnò una pesante sconfitta sul piano culturale e politico. Ciò accade in quasi tutte le nazioni ove il federalismo era cominciato a svilupparsi. In Francia, la posizione di De Gaulle può essere riassunta nella frase "le bureaux restent, le bureaux administrent", dove non vi era alcun accenno ad un possibile cambiamento istituzionale a livello nazionale. Anzi, il generale ripiegava su una posizione di status quo. In Gran Bretagna, i laburisti al governo si impegnarono in un serio programma di ricostruzione nazionale, cercando di formare un modello di stato sociale che sarebbe poi divenuto modello da imitare per gli altri paesi. In Italia, anche il Partito d'Azione subiva un declino. Generalmente il federalismo perse interesse proprio perché i singoli governi e la sfera politica di ogni stato, erano direttamente impegnati nella questione sociale ed economica dei rispettivi paesi. Ciò comporto un allontanamento politico e culturale dal federalismo, dato che tale progetto richiedeva degli elementi che non erano ancora disponibili dal punto di vista sociale e che per lo più, a livello di massa, erano totalmente respinti a causa dello shock della guerra e dell'alienazione che essa ha seminato tra i popoli europei. Già nel 1945, Spinelli abbandonava il MFE italiano, mentre all'indomani della guerra, si profilava già una nuova via, quella del funzionalismo, segnata dal pensiero dell'economista rumeno David Mitrany.
Il piano Marshall e il blocco occidentale

I prodromi della "guerra fredda" si fecero subito evidenti all'indomani della seconda guerra mondiale. E negli USA, in particolare, tali prodromi si riflessero nel rapporto tra il segretario di stato Byrnes ed il presidente Truman. Nel 1946, Byrnes, tardava a rendere noto al presidente il rapporto Ethridge sulla politica estera sovietica. Motivo di tale ritardo era legato alla politica di Byrnes, sempre mossa in direzione di un possibile compromesso. Il rapporto Ethridge poneva in luce molti aspetti della politica estera sovietica, che risultavano palesemente inconciliabili con qualsiasi politica atta al compromesso; in breve, nel documento, l'Unione Sovietica era accusata di attuare una politica imperialista. Truman, ricevuto il rapporto, rimproverò Byrnes e gli scrisse una lettera nella quale manifestava un chiaro rifiuto per una politica di compromesso nei confronti dei sovietici. Nell'agosto del 1946, Churchill fu invitato da Truman a Fulton, una località nel Missouri, dove il celebre statista inglese pronunciò il famoso discorso che passò alla storia come quello della "cortina di ferro":

 "Da Stettino sul Baltico a Trieste sull'Adriatico una cortina di ferro è calata sul continente. Al di là di questa linea vi sono tutte le capitali dei vecchi Stati dell'Europa centrale e orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia, tutte queste città così famose e le popolazioni che vivono in esse si trovano nella sfera sovietica e sono soggette, in vario modo, non solo all'influenza sovietica ma anche a un grado assai elevato di influenza e di controllo da parte di Mosca".

Oltre a ciò, Churchill affermò che l'Unione Sovietica non cercava la guerra ma ambiva ad "un'espansione senza limiti della sua potenza e delle sue dottrine". A conferma delle parole di Churchill e delle preoccupazioni di Truman vi era già stato il telegramma di George Kennan, un rapporto di 8000 parole che prese l'appellativo di "lungo telegramma" e che fu pubblicato nel luglio del 1946 sulla rivista "Foreign affairs" in forma anonima. Nel rapporto Kennan erano contenuti dei chiari moniti a non fidarsi della politica estera dell'URSS, basata essenzialmente su fattori interni e sul senso istintivo di protezione ed insicurezza che attanagliava i sovietici. Dopo varie analisi, il rapporto suggeriva di impostare la politica estera statunitense su una linea di contenimento piuttosto che su quella del compromesso. Fu anche per questo motivo che Truman nella lettera indirizzata al segretario di Stato, lo ammonì dicendogli di non "coccolare più i sovietici". Questa nuova impostazione segnò una grande svolta per la politica estera statunitense, dapprima centrata sullo scopo di persuadere i sovietici ad una possibile coesistenza pacifica sul piano delle relazioni internazionali. Nel frattempo, nel settembre del 1946, Churchill pronunciava un altro discorso presso l'università di Zurigo, portando le sue riflessioni sulla Germania divisa e sul pericolo incombente della sua "bolscevizzazione". Secondo l'opinione di Churchill, il bolscevismo avrebbe potuto conquistare la Germania e di conseguenza l'intero continente europeo. Da questa minaccia, nasceva l'esigenza di puntare l'attenzione sulla Germania divisa e di evitare che essa cadesse completamente nelle mani dei sovietici. Ed è proprio in questo ambito che la nuova strategia statunitense cominciò a fare i primi passi. Dalle conferenze di Yalta e Potsdam, le potenze vincitrici si erano già accordate sulla ricostruzione della Germania. Tali accordi comprendevano la politica di ricostruzione, con due limiti: il primo riguardava il rispetto nei confronti dei bisogni vitali ed assolutamente necessari per il popolo tedesco, il secondo, il fatto che la Germania doveva essere governata economicamente in maniera unitaria e non divisa. Ben presto la situazione cambiò volto e vennero meno questi due principi. Il primo fu violato nel momento in cui ogni potenza cominciò ad amministrare la rispettiva zona d'occupazione secondo i propri interessi e vantaggi, cercando, nel contempo, di guadagnarsi il favore della popolazione locale, senza prestare rispetto al principio d'aiuto indiscriminato. I Francesi fecero di tutto per strappare le terre della Renania e della Saar e desideravano che la regione della Ruhr fosse posta sotto il controllo internazionale. I Sovietici, diversamente, confiscarono ogni bene dei nazisti, promossero un'intensa riforma agraria che confiscava qualsiasi terra superiore ai 250 acri e provvedeva a distribuirla a nuovi proprietari con una estensione di 40 acri ciascuna. Oltre a ciò, ogni banca fu chiusa, i capitali e i conti fermati ed ebbe inizio la nazionalizzazione delle industrie. Infine gli inglesi e gli statunitensi cercarono di attenersi per lo più agli accordi di Yalta e Potsdam.  Il secondo limite, invece, fu violato quando le potenze rifiutarono di cooperare insieme nella ricostruzione economica del paese. La frattura più palese si produsse tra l'Unione Sovietica e le restanti potenze. Tale frattura si fece più grande nel momento in cui Byrnes propose ai quattro paesi un trattato di garanzia (accanto a quello di pace), secondo il quale la Germania sarebbe rimasta occupata militarmente per impedire un qualsiasi riarmamento. Questo trattato di garanzia non piacque ai Sovietici e rappresentante di questo rifiuto fu Molotov, che accusò Byrnes e gli alleati di vendicarsi contro il popolo tedesco e di impedirne in tal modo la rinascita. In questo senso, l'Unione Sovietica voleva ergersi come paladino della rinascita del popolo tedesco, tenendo politicamente sotto controllo tutto il territorio. Ma il profilarsi dell'idea di Byrnes che in sé, comprendeva lo stanziamento di truppe militari inglesi, americane e francesi, avrebbe reso più difficile il progetto sovietico. Successivamente, la proposta di Byrnes trovò accordo con la Gran Bretagna di Bevin, il quale espresse l'ulteriore intenzione di unire le rispettive zone d'occupazione sotto un'amministrazione anglo - americana. Ed è in questa fase che la frattura e l'impossibilità di amministrare economicamente la Germania in modo unito, si resero evidenti; anzi, la politica statunitense in Germania, considerata la situazione molto grave, puntò esclusivamente sull'unificazione delle tre zone sotto un'amministrazione congiunta, piuttosto che muovere dei passi in direzione dell'Unione Sovietica. E allo stesso tempo, la frattura assumeva anche un aspetto politico: ogni potenza cercava un supporto ed un'alleanza politica nella rispettiva zona d'occupazione. Gli statunitensi la cercarono tra i cattolici - popolari e i liberali, mentre gli inglesi laburisti tra i socialdemocratici, ed infine i sovietici con i comunisti e i socialisti di sinistra. In seguito, fu chiaro il discorso di Byrnes tenuto a Stoccarda nel settembre del 1946, nel quale il segretario di stato parlando in nome degli Stati Uniti prometteva alla Germania e al popolo tedesco una corretta ricostruzione, un supporto politico ed economico. Tuttavia, egli aggiunse che "se una unificazione completa non poteva avere luogo, faremo di tutto per assicurare la massima unificazione possibile". Byrnes fece chiaro anche il rapporto tra nazismo e popolo tedesco e disse:

"Gli Stati Uniti non possono alleviare le sofferenze inflitte alla Germania da una guerra che è stata iniziata dai suoi capi. Ma essi non intendono in alcun modo accrescere tali sofferenze né impedire ai Tedeschi di cercare la via per uscire da tali sofferenze a condizione che essi rispettino i principi di libertà e seguano la via della pace. Il governo americano intende restituire il governo della Germania al popolo tedesco. Il popolo americano intende aiutare il popolo tedesco a riconquistarsi un posto onorevole nel consesso delle nazioni libere e pacifiche del mondo".

Il discorso di Byrnes ebbe una larga eco in Germania e fu apprezzato da molte autorità tedesche. A rendere concrete le parole del segretario di stato, prima della fine del suo incarico, fu l'unione delle zone anglo - americane stipulata il 2 dicembre 1946. Nel gennaio 1947, Byrnes fu sostituito da Marshall e nel marzo, a causa della posizione isolata in cui si ritrovava la Francia di Bidault a causa della creazione della bizona anglo - americana, si stipulò il trattato di Dunkerque, che consisteva in una mutua garanzia tra Inglesi e Francesi, contro una possibile rivalsa tedesca. Da un lato, ciò obbediva alle esigenze francesi di "rientrare" nella questione tedesca, e dall'altro, a quelle inglesi finalizzate a costituire una sorta di "raggruppamento euroccidentale" dinanzi alla spinosa questione della Germania divisa. Nel contempo, la situazione in Grecia si faceva sempre più preoccupante. La Gran Bretagna, ormai, non era più in grado di sostenere economicamente le proprie truppe in Grecia e il suo governo. In più, i tentativi da parte dell'opposizione e dei comunisti rendevano l'impegno britannico sempre più costante, a tal punto che gli stessi britannici dovettero avvertire segretamente gli Usa che da marzo non avrebbero potuto più far niente per la Grecia, parlando anche della conseguente caduta in mani sovietiche e degli effetti imprevedibili che avrebbe causato nell'area mediterranea. Truman prese in considerazione la possibilità di concedere ai britannici un prestito finanziario per cercare di avviare una ripresa economica. Era necessario far importare più prodotti possibili dalla Gran Bretagna. Naturalmente il prestito doveva essere attuato ad una condizione: la convertibilità della sterlina in tutti i paesi del Commonwealth, una fattore fondamentale e decisivo per il riavvio del commercio mondiale e per aprire i mercati del commonwealth anche a quello statunitense. Tale convertibilità doveva attuarsi a partire dal febbraio del 1947 ed un anno dopo avrebbe dovuto essere completamente effettiva. La Gran Bretagna accettò e sul piano di questa situazione internazionale si concepì la "dottrina Truman", presentata in un discorso che il presidente fece il 12 marzo. Truman si rivolse al Congresso per chiedere gli aiuti economici da fornire alla Grecia e alla Turchia, per evitare che esse cadessero sotto l'influenza sovietica. La Turchia, oltre alla Grecia, era considerata nell'ottica statunitense come un paese fondamentale nell'area mediterranea. Per questo motivo, l'aiuto era da destinarsi ad entrambi i paesi, con lo scopo di esprimere un chiaro impegno statunitense contro l'espansione dell'orbita sovietica. Truman, difatti, concluse il discorso affermando:

"I semi del totalitarismo trovano alimento nella miseria e nel bisogno. Essi si diffondono e crescono nella terra cattiva della povertà e della conflittualità. Essi raggiungono la massima crescita quando le speranze di un popolo in una vita migliore cessano di esistere. Dobbiamo tener viva questa speranza. I popoli liberi del mondo guardano a noi per cercare appoggio nella difesa delle loro libertà. Se esitiamo nella nostra funzione di guida, possiamo mettere in pericolo la pace del mondo e certamente metteremo in pericolo la prosperità della nostra nazione. Grandi responsabilità sono state poste sopra di noi dalla rapida corsa degli eventi. Ho fiducia che il Congresso affronti queste responsabilità compattamente".

Il presidente riuscì ad ottenere la legge per i fondi dedicati alla Turchia e alla Grecia il 22 maggio, con qualche opposizione a riguardo. Con quel discorso fu chiara la nuova linea di politica estera lanciata dal presidente: gli Stati Uniti si sarebbero impegnati nel soccorrere quei paesi minacciati dal totalitarismo e avrebbero impedito qualunque cosa pur di non lasciare ai sovietici mano libera nella loro espansione. Le reazione sovietiche, al discorso di Truman, non furono allarmanti. Stalin si limitò a notare che tali provvedimenti indicati da Truman non riguardavano quella parte d'Europa già sotto il controllo sovietico. Ma accanto al discorso del presidente, secondo un disegno di più ampio respiro degli statunitensi, si rese famoso quello di Marshall, tenuto all'università di Haward il 5 giugno 1947. Nel discorso fu presentato un vasto progetto di aiuti economici destinato in gran parte alla ricostruzione dei paesi europei. Tale progetto fu avanzato considerando un quadro dei seguenti fattori: la crisi politica - economica e l'inflazione sempre più elevata che colpiva gli stati europei; i problemi del commercio internazionale e i rischi derivanti dal grave sbilancio fra la disponibilità per il fabbisogno di dollari necessari a rendere possibile un rapporto economicamente vitale fra l'Europa e gli Stati Uniti; la scelta politica voluta allora dal governo statunitense di chiarire una situazione internazionale precaria. Tutti questi fattori pesarono nella scelta di Marshall e dell'amministrazione statunitense e nella progettazione degli aiuti. Oltre a ciò, la discussione sulla forma di stato tedesca che si accese tra le potenze vincitrici, spinse gli anglo - americani a cooperare maggiormente sino a consentire un elevato produzione di acciaio nella zona controllata. I sovietici, al contrario, rimanevano del parere di governare in modo unitario la Germania, mentre i francesi si trovavano nel mezzo della discussione. Proprio per questo motivo, Marshall non rese determinato e particolare il piano d'aiuti, ma ampio e alla portata di tutti i paesi europei. Un piano d'aiuti mirato essenzialmente alla ricostruzione politica ed economica della Germania avrebbe sicuramente infastidito i francesi. Dunque, anche per questo motivo, il piano Marshall è un piano generico che non prevedeva determinati e forti vincoli nella sua applicazione. Inoltre esso rispondeva pienamente all'appello lanciato dal presidente Truman e riconfermato nel discorso del 6 marzo alla Baylor University (a Waco, nel Texas):

"Oggi come negli anni Venti siamo ad un punto di svolta nella storia. Le economie nazionali sono state sconvolte dalla guerra. Ovunque il futuro è incerto. Le politiche economiche sono allo stato fluido. In questa atmosfera di dubbi e esitazioni l'elemento risolutivo sarà dato dalla qualità di leadership che gli Stati Uniti sapranno assicurare al mondo"

Subito dopo questo discorso, il sottosegretario di Stato Acheson fu incaricato di chiedere al SWNCC (State - War - Navy - Coordinating Committee) di esaminare la questione degli aiuti insieme al dipartimento del tesoro. Il comitato, verso la fine di aprile, affermò nel suo rapporto che la migliore strategia per combattere il comunismo era quella di "bread and ballots rather than bullets", cioè pani e voti piuttosto che proiettili. Di conseguenza, Truman chiese a Kennan, allora responsabile del Policy Planning Staff, di studiare un piano d'intervento in Europa. Dopo le varie analisi economiche che condussero alla conclusione che l'Europa avrebbe dovuto importare beni statunitensi, il progetto assunse una connotazione politica. Difatti, il piano d'aiuti di Marshall era sì destinato a qualsiasi paese europeo, ma alla condizione per i paesi aderenti di orientare le proprie economie sul modello capitalistico statunitense e su quella di rifiutare il modello economico centralizzato. Il discorso di Marshall si basò poi su due punti fondamentali: quello della genericità e quello di stimolare un'azione comune europea. Da una parte, l'aspetto della "genericità" conferito al discorso aveva il significato di non porre pesanti condizioni agli aiuti, con lo scopo di stimolare le iniziative dei paesi interessati. In tal modo, i paesi che avrebbero voluto farne parte, avrebbero deciso in collaborazione con gli Stati Uniti i modi e le applicazioni degli aiuti. Agli Stati Uniti sarebbe spettato soltanto decidere la misura e la quantità degli interventi. Inoltre, il secondo punto metteva in luce la volontà degli Stati Uniti di favorire un'azione europea congiunta per contrastare la politica estera sovietica incentrata sulla propria sicurezza a discapito dei paesi dell'Europa orientale. Il premier britannico Bevin e il francese Bidault condivisero il discorso di Marshall. Bidault invitò Molotov a Parigi per discuterne. Quest'ultimo cercò di dissuadere gli inglesi e i francesi ad un'azione comune europea e proponeva invece uno schema di aiuti predisposto per ogni singolo paese. In seguito, lo stesso Molotov accusò Bidault di favorire un piano d'aiuto che avrebbe interferito nella vita di ogni singolo paese, dirigendone lo sviluppo economico. Bevin e Bidault, non curanti dell'accusa sovietica, estesero l'invito ad altri paesi europei tranne all'URSS e alla Spagna (sotto il regime fascista di Franco), ad unirsi alla conferenza di Parigi per discutere del piano Marshall. La conferenza si tenne a partire dal 12 luglio e vi parteciparono: l'Austria, il Belgio, la Danimarca, la Grecia, l'Islanda, l'Irlanda, l'Italia, il Lussemburgo, la Norvegia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svezia, la Svizzera e la Turchia, oltre alla Francia e alla Gran Bretagna. La Cecoslovacchia, la Polonia e la Jugoslavia avevano inizialmente accettato l'invito francese, ma furono costrette a rifiutare dietro minaccia di Stalin. Tra il febbraio e l'aprile 1948 il Congresso statunitense decretò la legge per il piano d'aiuti e stanziò per il primo anno una somma pari a 4,3 miliardi di dollari, più un miliardo di dollari in merci mediante canali commerciali privati. Oltre a ciò, creò l'ECA (Economy Cooperation Administration) e l'ERP (European Recovery Program). Il primo organismo doveva amministrare il piano d'aiuto dagli Stati Uniti. Il secondo, invece, posto in Europa doveva collaborare con i paesi europei e progettare con loro i piani d'aiuto necessari ed adeguati alla ricostruzione. Accanto a questi due organismi, nell'aprile del 1948 si provvedeva alla creazione dell'OECE (Organizzazione europea per la cooperazione economica), un'organizzazione statunitense incaricata di gestire il piano d'aiuto in Europa, alla quale si associò più tardi anche il Canada. Il destino dell'OECE non ebbe molta fortuna, dato che gli stessi statunitensi auspicavano che essa avrebbe dovuto possedere poteri sovranazionali. Tuttavia, il forte rifiuto dei paesi europei, fece cadere le speranze statunitensi. Infine, si stima che nel complesso, gli aiuti formulati con il piano Marshall ammontarono ad un totale di 12 miliardi e 535 milioni di dollari (considerandoli sino al giugno 1951). Il Piano Marshall ha sicuramente offerto un aiuto prezioso per gli stati europei e per la ricostruzione della Germania divisa che avveniva entro una più ampia cornice d'azione europea unitaria patrocinata dagli Stati Uniti.

Dall'idea di Sforza al piano Pleven

Nella visione statunitense, resa comprensibile anche nella risoluzione del National Security Council n. 68, gli obiettivi principali erano quelli di riarmare la Germania Ovest facendola integrare nel Patto Atlantico e di creare nel contempo un'organizzazione da porre alla base dell'alleanza atlantica. La risoluzione NSC - 68, dell'aprile 1950, prevedeva inoltre la creazione di basi militari in Europa. La Gran Bretagna appoggiava la linea di Truman mentre difficile rimaneva la posizione della Francia, la quale era contraria ad un riarmo tedesco. L'Italia, con l'allora Presidente del Consiglio De Gasperi insieme al Ministro degli Esteri Sforza, appoggiava i francesi, per un'intesa italo - francese (suggellata anche dall'adesione al piano della CECA) volta ad equilibrare la forte relazione che si stava instaurando tra Stati Uniti e Germania Ovest. Tuttavia, De Gasperi non mancò nelle relazioni con gli statunitensi e l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico n'era un segno tangibile. Una prima e vaga proposta per la costituzione di un esercito europeo, che comportava anche il riarmo tedesco, fu avanzata dal ministro Sforza. In seguito anche Churchill fece presente l'importanza di un esercito europeo. Egli, nell'Assemblea a Strasburgo del Consiglio d'Europa, l'11 agosto 1950, lanciò il progetto di: "[...] un esercito europeo unificato a partecipazione tedesca a controllo democratico europeo ed operante in collaborazione con gli Stati Uniti e il Canada". Sul tema delle forze "integrate", intervenne anche il segretario di stato Acheson, al Consiglio Atlantito di New York, tenuto tra il 15 e il 26 settembre 1950, durante il quale propose:

1) la costituzione di una forza "integrata" per la difesa dell'Europa risultante dai contingenti messi insieme dai vari governi; 2) l'utilizzo d'unità tedesche in tale forza "integrata";

Accanto a questi due elementi, Acheson avanzava sul piano teorico una nuova dottrina, la cosiddetta "forward strategy", che avrebbe spostato sino al fiume Elba la linea di difesa della NATO. Nell'occasione, il ministro Sforza, rappresentante italiano, insieme a Stikker, rappresentante olandese, dichiararono di essere d'accordo con Acheson. Gli inglesi, dapprima cauti, finirono per schierarsi insieme agli Stati Uniti allorché i francesi manifestarono il loro rifiuto. Schuman, presente al Consiglio Atlantico, si oppose al piano d'Acheson e ad un qualsiasi riarmamento tedesco posto in simili termini. Allora, per risolvere il nodo che si era formato al Consiglio, il Ministro degli Esteri francese si consultò con Jean Monnet e proprio quest'ultimo, l'ideatore della CECA, riuscì ad elaborare un nuovo progetto che prese il nome di piano Pleven (dal futuro presidente del Consiglio francese che lo propose). Il progetto fu presentato in seno all'Assemblea nazionale francese e fu approvato il 21 ottobre 1950, con 343 voti contro 220. Esso prevedeva la formazione di un esercito di sei divisioni composto da un'unità più piccole possibili ed integrate. Tale esercito non comportava divisioni nazionali ma soltanto divisioni internazionali poste sotto il controllo dello stato maggiore del comandante in capo delle forze atlantiche. Dal punto di vista istituzionale, il piano, comprendeva un assetto con poteri sovranazionali, simili alla struttura della CECA. Il Piano Pleven che proponeva la creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED) non sarebbe entrato in vigore prima della CECA.

Esercito europeo e divisioni tedesche

Il progetto della CED, non appena approvato, suscitò differenti reazioni nel panorama delle relazioni internazionali. Secondo la visione inglese, il piano Pleven era inaccettabile in quanto era teso a realizzare un'istituzione dotata di poteri sovranazionali nell'ambito della difesa, un settore nel quale la Gran Bretagna è sempre stata attenta a salvaguardarne il controllo. L'Italia, in linea generale, era d'accordo per la costituzione di un esercito europeo ma a condizione di un riarmo tedesco. I Tedeschi s'irritarono e posero l'accento sul fatto che non potevano essere costituite divisioni nazionali. Gli Stati Uniti rimasero stupiti delle rigide posizioni che assumevano i francesi ed affrontarono una per volta le questioni che si prospettavano: dapprima l'organizzazione delle forze atlantiche in Europa, poi la questione del riarmo della Germania ed infine quella dell'esercito europeo. La prima fu affrontata durante il Consiglio Atlantico del 18 - 19 dicembre 1950, con la nomina di Dwight Eisenhower a comandante dello SHAPE, Supreme Headquarter Allied Powers Europe, che stabiliva la sua sede a Parigi. Con la creazione dello SHAPE e con la nomina di Eisenhower aveva inizia la costruzione di una forza integrata atlantica. Questi furono i primi passi in direzione di un'organizzazione, basata sul Patto Atlantico, che sarebbe divenuta sempre più complessa e che avrebbe preso il titolo di NATO (North Atlantic Treaty Organization). La seconda questione era stata in parte risolta includendo tra le forze atlantiche le truppe tedesche, mentre la terza questione rimaneva incerta giacché si aspettava che il piano Pleven formulasse una precisa dimensione delle divisioni integrate. Poco dopo il Consiglio Atlantico, le nazioni coinvolte nel progetto dell'esercito europeo furono invitate il 15 febbraio 1951 dalla Francia per la negoziazione del piano Pleven. Al negoziato parteciparono i "Sei": Francia, Belgio, Lussemburgo, Italia, Germania federale e Olanda (che iniziò i lavori soltanto dopo ottobre). Durante la Conferenza, Schuman spiegò come l'esercito europeo era da costruirsi entro tre tappe. L'ultima stabiliva che l'esercito europeo avrebbe avuto la struttura di un qualsiasi esercito nazionale e sarebbe stato comandato da un ministro europeo della Difesa, in collaborazione con un Consiglio dei Ministri ed una Assemblea. Inoltre, secondo il piano, la Germania non poteva avere un proprio stato maggiore, né un bilancio per le spese militari e né un ministro della difesa. Ciò rendeva palese l'intransigente posizione francese a sfavore di un riarmamento diretto della Germania. Il blocco che si creò alla fine della conferenza fu sciolto da Jean Monnet, il quale incontrò Eisenhower e lo convinse dell'inutilità del confronto diretto sulla questione dell'esercito europeo. Il generale, comprese il punto di vista francese e in suo discorso a Londra nel luglio del 1951, auspicò la formazione di un'unificazione europea, con lo scopo di distendere le tensioni tra USA e Francia. In Italia, De Gasperi, influenzato da Spinelli, lasciò nei dibattiti del vertice parigino nell'ottobre 1951 un memorandum (elaborato da Ivan Matteo Lombardo, capo della delegazione italiana) nel quale si suggeriva la creazione di una federazione europea che risolvesse i problemi inerenti all'esercito europeo, con lo scopo di tralasciare i singoli interessi d'ogni paese coinvolto, delegando una struttura sovranazionale a decidere sulla questione. A tale scopo, il memorandum prevedeva la possibilità di porre accanto alle strutture della CED, un parlamento europeo a suffragio universale diretto. Il memorandum italiano provocò l'effetto di sorpresa nell'atmosfera del vertice parigino.

L'articolo 38: una Costituente per l'Europa

Prima che la proposta di De Gasperi fosse presa in considerazione, il Patto Atlantico assumeva una dimensione organizzativa. Ad Ottawa, infatti, il 20 settembre 1951, fu siglata la NATO che prevedeva la formazione di nuove istituzioni accanto a quelle del Consiglio permanente di supplenti dei ministri degli Esteri, formato nel maggio 1950 e del Consiglio dei Ministri. La Nato si componeva così di un Comitato di difesa economico - finanziaria (composto dai Ministri delle Finanze dei 12 paesi della Patto Atlantico) e di un Comitato di difesa, assistito da un Comitato militare. A capo vi era il SACEUR (Supreme Allied Commander in Europe), l'allora generale statunitense Eisenhower, mentre la sede fu confermata a Parigi. Con la formazione della NATO prendeva corpo un sistema d'alleanza poderoso al quale intanto, già nell'ottobre 1951, aderivano la Grecia e la Turchia (la cui adesione ufficiale avvenne nel Consiglio Atlantico del febbraio 1952). Nel dicembre 1951, a Strasburgo, fu presa in considerazione la proposta di De Gasperi. I paesi del Benelux e la Gran Bretagna rimasero scettici, mentre i più interessati furono Adenauer e Schuman. De Gasperi riteneva introdurre nel Trattato della CED un articolo (art. 38) che avrebbe conferito ai poteri dell'Assemblea di studiare:

a) la costituzione di un organo rappresentativo eletto su basi democratiche; b) i poteri che sarebbero ad esso conferiti; c) le modifiche da apportare alle disposizioni del Trattato per porlo in sintonia con le altre istituzioni della Comunità, nell'intento di garantire un'adeguata rappresentanza degli Stati;

Gli altri paesi discussero ed infine si decise di affidare all'Assemblea della CED l'incarico di studiare un'organizzazione federale o confederale che avrebbe sostituito in seguito l'organizzazione del Trattato. Oltre a ciò, la CED prevedeva un Collegio di Commissari o Commissariato, un'Assemblea parlamentare, un Consiglio dei ministri e una Corte di Giustizia. Il profilo istituzionale era stato così accordato e mentre tutto sembrava proseguire senza problemi, ai primi di febbraio del 1952, Adenauer sollevò il problema del sostegno finanziario alla CED. Per i tedeschi, il contributo si rivelava troppo oneroso ed in più, il delegato del governo di Bonn in Francia, Walter Hallstein, riprese il problema dell'adesione della Germania nella NATO. Tutto ciò fece scaturire le reazioni della Francia, alle quali Adenauer rispose minacciando di denunciare la questione della Saar in seno al Consiglio d'Europa, poiché i tedeschi non gradivano che fosse più sotto il controllo dell'amministrazione francese. Nell'atmosfera di dissidio franco - tedesco si giunse al Consiglio Atlantico di Lisbona tenuto tra il 20 e il 25 febbraio 1952, dove gli statunitensi lanciarono un pesante ultimatum: "O trovate un accordo sull'esercito europeo o procediamo direttamente al riarmo di dodici divisioni tedesche". Dietro la minaccia statunitense, i sei paesi si accordarono per firmare poco dopo il trattato della CED. Ma prima ancora che della sua firma, si siglarono degli accordi (a Bonn, il 26 maggio) tra Acheson, Eden (nuovo ministro degli esteri inglese) e Schuman, che fecero recuperare la sovranità nazionale alla Germania occidentale. A Parigi furono firmati i protocolli del Trattato della CED il 27 maggio 1952. In conclusione, le istituzioni ricalcavano quelle della CECA e in particolare, il Consiglio dei Ministri (composto da 6 membri) coordinava il Commissariato, composto anch'esso da 6 membri votanti all'unanimità, che aveva potere esecutivo (analogo all'Alta Autorità della CECA). L'Assemblea aveva lo stesso numero di membri di quella della CECA ed infine era stabilita una Corte di Giustizia. Si predisponevano le condizioni per la creazione di divisioni nazionali integrate in corpi d'armata internazionali, sotto il comando del SACEUR mentre alla Germania occidentale erano consentite soltanto le divisioni integrate e non quelle nazionali. Al fine di accelerare la Costituente della federazione europea, Paul Henry Spaak, fondatore del movimento federalista europeo, in un incontro con De Gasperi propose di conferire all'Assemblea della CECA i poteri di studiare una Costituente, poiché essa aveva caratteristiche analoghe e simili all'Assemblea della CED, invece di aspettare la ratificazione dello stesso trattato da parte dei parlamenti dei sei paesi. Il suggerimento di Spaak si rivelò prezioso e fu preso in considerazione sia da Adenauer sia da Schuman, in intesa con De Gasperi. Le discussioni ripresero a Lussemburgo il 10 settembre e si avanzò un progetto federale che fu accettato. All'Assemblea della CECA si aggiunsero nove membri (con l'esigenza d'integrarne il numero rappresentativo dei sei paesi firmatari della CED), in modo che formassero un'Assemblea ad hoc, incaricata di redigere uno statuto per la federazione europea. I lavori dell'Assemblea ad hoc proseguirono fino al 25 febbraio 1953, data in cui fu presentato lo statuto della Comunità Politica Europea (CPE). La CPE prevedeva una comunità dotata di poteri sovranazionali nella gestione della difesa e dei rapporti internazionali, oltre a quelli finanziari ed economici e della politica estera, nella quale avrebbe agito come uno stato, previa consultazione di un Consiglio dei Ministri dei sei paesi. Inoltre, prevedeva per il Parlamento un assetto bicamerale, con una Camera dei Popoli composta da 268 deputati eletti ogni cinque anni a suffragio universale diretto e un Senato composto da 87 senatori eletti ogni cinque anni dai parlamenti nazionali. Lo statuto fu votato e accettato e fu inviato ai singoli parlamenti nazionali per la ratifica. Ma i paesi prima di accettare la creazione di una Comunità così coinvolgente, vollero dapprima risolvere la questione della CED e della sua ratificazione a livello parlamentare. La Germania e i paesi del Benelux non ebbero problemi nell'accettarla, mentre in Italia e in Francia, il trattato si arenò. Per l'Italia, la questione di Trieste, discussa in parlamento diventava un pretesto per maggiori concessioni in cambio dell'accettazione della CED. John Foster Dulles, nuovo segretario di stato statunitense, incontrò a Roma De Gasperi per fargli presente come fosse importante rendere celere il processo di ratificazione della CED. De Gasperi, di per sé, avrebbe appoggiato il piano della CED, ma allora l'attenzione parlamentare era incentrata sulla riforma elettorale (la famosa "Legge truffa) e poi la conseguente caduta di governo, indussero i successivi governi di Pella, Fanfani e Scelba ad attendere la decisione francese.

Parigi, le ragioni di una bocciatura

Durante il 1952, il governo francese evitò di presentare il trattato della CED per la votazione in Parlamento. Si temeva difatti che non vi fosse ancora la sufficiente maggioranza ad accettarlo. Lo scenario politico francese si divideva di fronte alla CED. I cattolici del MRP erano d'accordo, mentre i gollisti del RPF e i comunisti erano sfavorevoli. Nel gennaio 1953, Michel Debré tentò di proporre un progetto diverso dalla CPE ma il suo tentativo non fu apprezzato. Più tardi, il presidente del consiglio René Mayer fissava la sua agenda intorno a due elementi prima di ratificare la CED: la questione della Saar e l'impegno anglo - americano a disporre di una forza militare in Europa. Il continuo ritardo francese ed italiano nell'affrontare in modo diretto la difficile questione della CED, scatenò nel dicembre 1953 la dura reazione di Foster Dulles, il quale minacciò i francesi e gli italiani che se la CED non fosse stata approvata, sarebbe avvenuta un "agonizing reappraisal", secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero mutato la loro politica estera in Europa, finendo nel considerare la Germania la più vicina alleata. Nel frattempo con la morte di Stalin e con l'intensificarsi della guerra in Indocina, nel giugno 1954 fu eletto Pierre Mendes France, il quale aveva promesso all'elettorato, duranta la sua campagna, di risolvere entro 100 giorni la guerra d'Indocina e la questione della CED. La prima questione fu risolta allorché si firmò l'accordo piuttosto vantaggioso per i francesi, secondo il quale il paese asiatico rimaneva diviso lungo il 17esimo parallelo. Per quanto riguardò la CED, Pierre Mendes France volle modificare il trattato, poiché non vi era ancora la maggioranza in parlamento e perché, in secondo luogo, si voleva preservare il controllo di parte dell'esercito francese da un'istituzione sovranazionale. Nell'agosto 1954, Mendes France si recò a Bruxelles per discutere delle modifiche, tra le quali, vi era quella di allungare il processo di costruzione della CED fino a 8 anni e quella di attuare le forze integrate soltanto per la Germania. Tutte le altre modifiche ritoccavano gran parte degli articoli del trattato e ciò significava ripresentare nei paesi che avevano già ratificato, il nuovo trattato emendato. Le proposte di Mendes furono accolte con diffidenza e considerate come un'offesa agli accordi già stabiliti. A questo punto, il trattato originario della CED fu discusso nel parlamento francese e per liquidarlo "silenziosamente", come suggerì il direttore dell'Express, Jean Jacques Servan Schreiber,  fu presentata una mozione "pregiudiziale", secondo la quale il testo del trattato fu respinto senza discussione. La mozione fu presentata da un deputato indipendente d'Algeri, il generale Aumeran, il 30 agosto 1954 e fu votata. I risultati furono di 519 voti favorevoli contro 264. In tal modo moriva la CED e la possibilità di creare una struttura sovranazionale che avrebbe riarmato la Germania.

UEO, una breve illusione

La sconfitta della CED poneva la Francia in una posizione isolata sul piano internazionale. Foster Dulles affermò che il voto francese era da considerarsi a "shattering blow" (un colpo sconvolgente) alla politica statunitense. Mendes France, consapevole della posizione alquanto difficile in cui versava la Francia in politica estera, all'indomani della caduta del progetto CED, decise di avanzare nuove proposte al Consiglio d'Europa, nel 20 settembre 1954. Gli Stati Uniti, dal loro canto, sotto la guida dell'amministrazione Eisenhower (il nuovo presidente degli USA), incominciarono a lavorare per riprendere i legami con la Francia. Gli obiettivi degli Stati Uniti potevano così riassumersi:

1) la sicurezza degli Stati Uniti richiedeva che l'Europa occidentale, compresa la Gran Bretagna, fosse difesa e rafforzata; quindi, occorreva procedere al più presto, al riarmo tedesco e all'inclusione della Germania nella NATO; 2) bisognava bloccare e rovesciare le tendenze di divisione in Europa occidentale, favorendo lo sviluppo e la coesione di forze politiche ed economiche che animassero "la capacità e la volontà degli europei di resistere alla sovversione comunista e al neutralismo";

La Gran Bretagna, che si era esclusa dalla CED, decise con il premier Anthony Eden di rientrare in scena, invitando a Londra, tra il 28 settembre e il 3 ottobre, gli Stati Uniti e il Canada assieme ai "Sei" paesi. Al vertice, fu deciso l'allargamento del Trattato di Bruxelles all'Italia e alla Germania. In tal modo, la Germania occidentale avrebbe acquisito la sovranità nazionale ed avrebbe goduto di quel necessario status giuridico per aderire alla NATO. In seguito, a Parigi, tra il 21 e il 23 ottobre fu concordato il Trattato stesso. Esso prevedeva la creazione dell'UEO (Unione Europea Occidentale), con la formazione di un esercito comune e sul piano istituzionale, di un Consiglio dei ministri degli Esteri in rappresentanza dei governi, deliberante all'unanimità e di un'Assemblea parlamentare. Per il controllo degli accordi, fu predisposta un'Agenzia per il controllo degli armamenti. In particolare, per quanto riguardava la Germania, le era permesso di costituire un esercito di dodici divisioni, una aviazione di 75000 uomini e una marina di 25000. Oltre a ciò, nel nuovo Trattato di Bruxelles era stata ripresa la questione della Saar, che si risolse, dopo varie controversie, con l'internazionalizzazione della stessa, posta sotto il controllo di un commissario europeo, responsabile dinanzi al Consiglio dei ministri dell'UEO. Solo nel 1956, i due governi giunsero ad un accordo che prevedeva il finale passaggio della Saar alla Germania, che si ufficializzò il primo gennaio 1957. In cambio, i francesi, ottenevano delle considerevoli garanzie sul provvedimento di materiale carbo - siderurgico proveniente dalla Mosella. A livello parlamentare, il trattato non incontrò difficoltà nella ratificazione. In Francia fu approvato il 30 dicembre 1954, in Italia vi furono 335 sì contro 215 no. Ed infine, in Germania, il Bundestag approvò il Trattato tra il 26 e il 27 febbraio 1955 con una maggioranza di 150 voti. Con l'UEO terminò quel processo di costruzione di una forza militare in Europa, che aveva visto la politica estera statunitense impegnata sin dal '47, con il principale scopo di riarmare la Germania e di proteggerla contro un'ipotetica aggressione sovietica. L'URSS, invece, dinanzi alla costituzione dell'UEO rispose con la formazione del Patto di Varsavia, un'alleanza militare multilaterale conclusa per la durata di 21 anni a Varsavia il 14 maggio 1955, tra URSS, Repubblica Democratica Tedesca, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania, Cecoslovacchia e Albania.

L'atomo di Monnet e i Trattati di Roma

La Gran Bretagna, al momento della stipulazione dell'UEO, si riteneva soddisfatta nell'aver giocato un ruolo di prima posizione tra Stati Uniti, la questione del riarmamento della Germania e la formazione dell'esercito europeo. Tuttavia, si guardava bene dal non aderire ad iniziative in cui la propria sovranità fosse stata messa in dubbio o addirittura sminuita. Proprio per questo motivo, la Gran Bretagna rifiutò di aderire al piano della CECA e come diversivo per uscire da quel relativo isolamento, propose l'ampliamento del Trattato di Bruxelles anche all'Italia e alla Germania Ovest. Jean Monnet, allora capo dell'Alta Autorità della CECA, aveva assistito a tutto questo ed aveva intravisto, nello scenario europeo che si stava tracciando, nuove esigenze. Da una parte s'intravedeva il bisogno di estendere le prerogative della CECA ad altri settori come quello dei trasporti e dall'altra a settori energetici come quello dell'energia atomica. Questa era un'idea che fu concepita nel 1954 e che Monnet, consapevole del fatto che la Francia aveva perso prestigio nella causa europeista, colpevole di aver affondato il piano della CED, propose al ministro degli Esteri Belga Paul - Henry Spaak. Egli, d'accordo con Monnet, provvide a diffonderla nell'ambiente politico del Benelux, ed infine anche l'olandese Johann Willem Beyen e il lussemburghese Joseph Bech, convennero con l'idea originaria di Monnet. Prima di stilare un memorandum da inviare ai singoli governi, Spaak ritenne opportuno attendere la fine del governo di Mendes Frances, considerato come un "blocco" contro qualsiasi iniziativa "sovranazionale" che si sarebbe potuta avanzare. Così quando il suo governo cadde nel febbraio 1955, seguito da quello di Edgar Faure, i tre del Benelux stilarono un memorandum, patrocinato da Bech, che inviarono il 6 maggio 1955 ai paesi della CECA, nel quale era contenuto un invito a partecipare ad una conferenza che avrebbe trattato l'idea di Monet e la nomina del nuovo presidente dell'Alta Autorità. Sedi della conferenza furono Messina e Taormina, che ospitarono le delegazioni europee tra l'1 e il 2 giugno 1955. Durante i primi lavori, nelle città siciliane, le delegazioni discussero con gran vivacità il memorandum, affrontando la questione della creazione di un grande mercato e quella dell'energia atomica. Nelle ultime battute dei dibattiti, si convenne ad un documento finale che conteneva un impegno a studiare:

a) la creazione di un'organizzazione comune per lo sviluppo pacifico dell'energia atomica, prendendo in considerazione gli accordi speciali sottoscritti con Paesi terzi;

b) l'istituzione di un mercato comune, da realizzare per tappe, mediante la riduzione progressiva delle limitazioni quantitative e l'unificazione dei regimi doganali;

A tale proposito, fu predisposta una Commissione intergovernativa presieduta da Spaak, che avrebbe lavorato su questi punti, con l'incarico di consegnare un rapporto al Consiglio dei ministri degli esteri della CECA entro il 20 aprile 1956. Ad essa, come osservatrice avrebbe fatto parte anche la Gran Bretagna. La Commissione che contava la presenza di tre eminenti personalità (Pierre Uri, Hans von der Groeben e Walter Hallstein) non ottemperò entro i termini di tempo stabiliti ed in ritardo, consegnò il suo rapporto il 30 maggio 1956, al Consiglio dei ministri degli Esteri della CECA, riunitesi a Venezia. Essi accettarono le linee del documento ed appoggiarono l'iniziativa. In tal modo, si chiese a Spaak di avviare un altro comitato incaricato di redigere i Trattati in base al rapporto che aveva appena stilato. I due trattati erano distinti poiché si occupavano di cose diverse: uno dedicato al mercato comune e più generalmente alla costruzione di una Comunità Economica Europea, e l'altro, dedicato invece all'energia atomica e siglato come EURATOM. Grazie alla partecipazione della diplomazia italiana e alla proposta di Spaak, fu scelta la città di Roma, luogo per la firma dei due trattati, con la pretesa del ministro belga di candidare in seguito la città di Bruxelles come sede delle istituzioni che avrebbero preso corpo. I ministri degli Esteri dei sei paesi, si riunirono a Roma, il 25 marzo 1957, per siglare i due Trattati. Essi istituivano due Comunità (CE ed Euratom) e prevedevano quattro istituzioni ognuna; l'organo esecutivo sarebbe spettato alla Commissione con poteri, tuttavia, limitati rispetto all'Alta Autorità. Gli altri organi erano la Corte di Giustizia, un'Assemblea parlamentare e il Consiglio dei ministri esteri. La Commissione per la CE era composta da nove membri mentre quella dell'Euratom da cinque così come quella dell'Alta Autorità per la CECA. L'Assemblea era composta da 142 deputati scelti dai parlamenti nazionali. L'Assemblea aveva poteri consultivi ma con una maggioranza di 2/3 era in grado di censurare le decisioni della Commissione. La Corte di Giustizia era composta da 9 membri ed era unica per le tre comunità ed assumeva il compito di regolare le controversie che sarebbero sorte in applicazione dei Trattati. I due Trattati entravano in vigore il primo gennaio del 1958. Presidente della CE era Walter Hallstein (che vi rimase sino al 1967) e per l'Euratom il francese Louis Armand. Per quanto riguardava la CE, il Trattato stesso indicava le fasi entro le quali si sarebbe costruita progressivamente la Comunità Europea. Tali fasi, in totale, sarebbero durate 12 anni. Alla fine d'ogni fase, i paesi aderenti avrebbero ridotto di 3 volte del 10% la loro tariffa doganale. Oltre a ciò, al termine d'ogni tappa, il Consiglio dei Ministri degli esteri si sarebbe riunito per decidere l'applicazione e i termini delle seguenti tappe. Si prevedeva che entro il 1969 i dazi e i contingentamenti fossero completamente eliminati. Difatti, dal Trattato CE, prendevano slancio tre linee d'azione:

- un'unione doganale, con l'istituzione di una tariffa doganale unica da applicare nei confronti dei paesi terzi;

- un'unione economica, nella quale capitali, servizi, cittadini possano circolare liberamente, politiche comuni nel settore dell'agricoltura e nella politica economica;

- la creazione di nuove risorse mediante la valorizzazione delle regioni sottosviluppate e delle forze di lavoro inutilizzate;

Dall'altra parte, il Trattato dell'Euratom creò una Comunità per lo sviluppo comune dell'energia atomica in Europa. L'Euratom era incaricato di controllare, gestire e sviluppare le tecnologie riguardanti il settore dell'energia atomica. In più, doveva fornire energia a tutti i paesi membri. Con questi due trattati prendevano corpo due distinte comunità che si accostavano a quella della CECA.

Suez e l'effetto Europa

La guerra di Suez che scoppiò a seguito della nazionalizzazione dell'omonimo Canale da parte di Nasser (26 luglio 1956), capo del governo egiziano e che vide protagoniste la Francia e la Gran Bretagna, segretamente schierate con l'Israele contro l'Egitto, si rivelò una fallimentare impresa che determinò un cambiamento sostanziale della politica europea, in mano nell'allora premier Guy Mollet. Quest'ultimo, per rilanciare la politica estera francese, si accostò alle richieste degli altri partner riguardo all'Euratom e alla CE. L'Euratom, durante la fase delle trattative, era considerata dai francesi come uno strumento da utilizzare al fine di finanziare la ricerca atomica. Obiettivo, difatti, era quello di creare una prima atomica, con lo scopo di concorrere con gli Stati Uniti. Tuttavia, questa linea d'azione contrastava gli interessi degli altri stati partner, i quali, al contrario, erano più interessanti all'unione economica e desideravano, in ultima istanza, che vi fosse un collegamento tra Euratom e Cee, negato radicalmente dai francesi, interessati soprattutto al progetto dell'energia atomica. Guy Mollet, dopo la pesante sconfitta a Suez, decise di compiere qualche passo indietro, dirigendo la sua politica vero la causa europeista, dando inizio ai lavori sulle trattative affinché i due trattati fossero collegati. Per quanto riguardava gli Stati Uniti, all'inizio, videro di buon occhio l'Euratom, poiché essa comportava un programma nucleare in grado di fornire un sostanziale supporto nucleare militare all'area europea. Tuttavia, anche la CEE fu considerata una buon'iniziativa, giacché nel piano di Marshall, era emersa la volontà degli Stati Uniti di favorire la ricostruzione economica europea.

L'anatema dei federalisti

La Cee e l'Euratom rappresentarono sicuramente dei grandi passi avanti nel processo di costruzione europea. Ma quelli che rimasero scontenti e delusi furono i federalisti, primo fra tutti Altiero Spinelli, il quale, in tono pessimista, sottolineava la mancanza di una struttura federale e la conservazione della sovranità nazionale, imponente vincolo che avrebbe "impedito", secondo le parole del redattore del manifesto di Ventotene, un qualsiasi progetto federalista. Contro la Cee e l'Euratom si poneva anche la Gran Bretagna, la quale già lavorava per un progetto alternativo (EFTA, European Free Trade Association) che avrebbe esteso un'area di libero scambio ai restanti paesi membri dell'OECE. L'URSS, al momento della stipulazione dei trattati, si mostrò contraria, accusando la Cee di creare un mercato proprio ai danni dei paesi dell'est e del Comecon. Altresì, la Cee e l'Euratom, compresero anche un grande insieme di proteste intestine, che riguardavano gli interessi delle varie industrie dei paesi contraenti. In tal modo l'industria tessile francese paventava il confronto con quella italiana, mentre l'industria meccanica italiana appariva meno forte di quella tedesca. Tuttavia, nonostante le numerose difficoltà poste dalle varie lobbies industriali e politiche, i trattati furono firmati e diedero inizio alla Comunità Economica Europea.

Le ragioni del Generale e quelle britanniche.

In seguito alla stipulazione dei Trattati di Roma, emergevano due nuovi problemi. Il primo si pose nella circostanza in cui De Gaulle salì al potere, nel maggio 1958, durante la crisi algerina. Con l'ascesa al potere del generale francese, gli europeisti paventarono per un istante una possibile messa in critica dei Trattati stipulati. I timori, tuttavia, non trovarono conferma. Secondo i piani del generale francese, i trattati non dovevano essere messi in discussione,  ma in ogni caso una federazione europea non poteva essere costituita. Il principio, sul quale, diversamente, i sei avrebbero dovuto concentrare i propri sforzi, sarebbe stato quello di una solida "cooperazione tra gli stati", con lo scopo di creare un'unità economica, culturale e politica europea. L'obiettivo della "cooperazione" non era l'unico nell'agenda del generale. Egli s'impegnò anche nel creare una "terza forza" in grado d'ergersi entro il sistema bipolare che si stava sempre più compattando. La terza forza, quella europea, doveva essere supportata da una "force de frappe". De Gaulle, infatti, accelerò il piano di progettazione e costruzione della prima atomica che fu fatta esplodere nel deserto del Sahara nel 1960. Il secondo problema si pose con la Gran Bretagna, governata dal conservatore Harold MacMillan. Ancora una volta, essa non prese parte alle iniziative dei "Sei", per preservare il suo status sovranazionale e per seguire quella linea di politica estera, coniata  con l'espressione di Sir Roger Makins, il quale affermò: "Great Britain is of but not in Europe". MacMillan lavorò su un progetto alternativo, più concreto, che sarebbe nato con il titolo d'EFTA (European Free Trade Association) nel luglio 1959. Esso prevedeva un'area di libero scambio e vi presero subito parte la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, la Svizzera, l'Austria e il Portogallo. Infine, un nuovo fattore che pesò nel piano delle relazioni internazionali, fu il nuovo presidente J. F. Kennedy, eletto nel novembre 1960, che progettò due grandi iniziative: la prima era quella di avviare una vasta liberalizzazione, che si doveva estendere al settore commerciale statunitense, per favorire ed agevolare gli scambi con la neonata CEE. La seconda iniziativa prevedeva una maggiore integrazione militare tra Stati Uniti ed Europa in seno alla NATO. Quest'ultima iniziativa era stata supportata, in teoria, dalla nuova dottrina avanzata da Robert McNamara che non si legava più al concetto di rappresaglia massiccia, ma a quello di "risposta flessibile". Tuttavia né la Gran Bretagna e né la Francia erano disposte ad un'integrazione così impegnativa, dato che entrambe volevano preservare l'indipendenza della propria forza nucleare.

I piani di Fouchet

Durante l'incontro tra Kennedy e De Gaulle, nella primavera del 1961, il presidente statunitense chiese esplicitamente al generale francese di rinunciare alla "force de frappe", perorando la propria richiesta con l'assicurazione che gli Stati Uniti avrebbero reagito prontamente ad un qualsiasi attacco contro l'Europa. Per questo motivo, l'Europa non aveva la necessità di dotarsi di una propria forza nucleare. Dall'altra parte, invece, De Gaulle riteneva necessario e fondamentale lo sviluppo di una difesa autonoma, a partire con la ricerca nel settore nucleare e con la creazione della bomba atomica. L'impossibilità di proseguire oltre il dialogo, spinse l'amministrazione Kennedy verso la Gran Bretagna, cercando con essa uno speciale rapporto, con il fine di integrare maggiormente la difesa europea con la NATO. Così quando MacMillan e Kennedy s'incontrarono, il presidente statunitense consigliò esplicitamente al premier britannico di non impegnarsi ulteriormente nell'EFTA, ma, al contrario, di tentare ad entrare nella CEE. De Gaulle, comprese subito che gli Stati Uniti avrebbero cercato un altro partner con il quale avviare i medesimi dialoghi. Il generale, per non compromettere il piano della "terza forza", strinse maggiormente i contatti con Adenauer e Fanfani, con l'intenzione di studiare una forma istituzionale che riunisse i "Sei" politicamente. In tal modo, dopo l'incontro che si ebbe tra Francia, Italia e Germania ovest, De Gaulle predispose una Commissione ad hoc, presieduta da Christian Fouchet che avviò i lavori nella primavera del 1961. Parallelamente alla Commissione di Fouchet, fu discussa e progettata la PAC (Politica Agricola Comune), che faceva parte integrante dei Trattati di Roma. Scopi della PAC erano, da una parte, di favorire i consumatori, con l'immissione di prodotti agricoli con prezzi controllati nei mercati europei; dall'altra, i produttori, che sarebbero stati avvantaggiati con una maggiore remunerazione. Tuttavia, il primo obiettivo non si realizzò completamente e il suo fallimento parziale favorì, invece, il successo dell'altro. Il meccanismo sul quale si basava la PAC consisteva sommariamente nel fissare i prezzi dei prodotti agricoli all'inizio d'ogni anno. Tali prezzi non avrebbero oscillato per garantire la tutela del consumatore. Oltre a ciò, era predisposto il libero scambio e il trasporto dei prodotti agricoli entro l'intera area della CEE. In più, se i prodotti non erano venduti, il Fondo Europeo di orientamento e di garanzia agricola (FEOGA), acquistava i prodotti per conto della CEE, a tutela dei produttori. Nel momento in cui i prezzi internazionali sarebbero stati più bassi, al fine di impedire che ci fossero state importazioni, la PAC avrebbe stabilito dei dazi doganali, detti "prelievi", ed al contempo, avrebbe reso uguale la remunerazione per i produttori europei che avrebbero esportato i propri prodotti all'estero o venduto all'interno della CEE. Al contrario, se i prezzi internazionali sarebbero stati più alti, la PAC avrebbe frenato l'esportazione dei prodotti europei, con l'imposizione di una tassa detta "restituzione", a protezione dei consumatori europei. Con la PAC, dunque, si era eretto un sistema piuttosto dispendioso che avrebbe consumato molte delle risorse iniziali della CEE. Nel frattempo, i lavori della Commissione Fouchet proseguivano ed ebbero fine verso novembre del 1961, con la redazione di una bozza che comprendeva diversi punti. In sintesi, essa non prevedeva alcuna struttura sovranazionale ma si basava, secondo la linea gollista, sulla cooperazione tra gli stati. Il piano Fouchet prevedeva:

1) un Consiglio dei ministri composto dai capi di Stato e di governo degli Stati membri ovvero da ministri degli Esteri; esso doveva riunirsi di massima ogni quattro mesi; le sue deliberazioni sarebbero state prese all'unanimità (salvo una clausola di revisione che avrebbe permesso di decidere a maggioranza);

2) un'Assemblea parlamentare europea con particolari prerogative anche nei confronti del Consiglio dei ministri, in grado di proporre a quest'ultimo raccomandazioni e interrogazioni;

3) una Commissione esecutiva, composta da alti funzionari designati dagli Stati membri, che avrebbe preparato le deliberazioni del Consiglio e avrebbe controllato la loro esecuzione;

Oltre a ciò, erano riconosciute le istituzioni della CEE, dell'EURATOM e della CECA; ulteriore clausola sulla politica di difesa affermava che essa non avrebbe mai contrastato quella della NATO. Il piano Fouchet, al momento dell'annuncio, fu considerato come un ottimo passo avanti che avrebbe formato l'Unione politica tra i "Sei" della CEE. Tuttavia, i francesi, nel gennaio 1962, proposero un altro piano Fouchet, ribattezzato "Fouchet II" che sostituiva il primo, diminuendo i poteri dell'Assemblea, non riconoscendo più le  tre istituzioni e non facendo alcun riferimento alla politica di difesa pro NATO. La decisione, che deluse coloro che avevano creduto nel primo piano, era stata attuata dalla Francia perché i paesi del Benelux si erano opposti vivacemente al piano Fouchet I. Difatti, sia il Belgio, sia l'Olanda, sia il Lussemburgo, temevano che una siffatta Unione politica, imperniata sull'asse francese, sarebbe stata troppo forte e si sarebbe posta a loro discapito. Per questo, i paesi del Benelux, prima di accettare un qualsiasi atto che avrebbe costituito un'Unione politica, ponevano come condizione del loro assenso, la risoluzione del problema della Gran Bretagna, che aveva chiesto il 9 agosto 1961 di aderire alla CEE. Germania ed Italia, invece, erano d'accordo sul piano Fouchet, tuttavia la sterilità del Fouchet II, non permise la conclusione di un accordo al negoziato del Consiglio parigino dei ministri degli Esteri, tenutosi il 17 aprile 1962. In tal modo cadeva il progetto Fouchet e quello di De Gaulle.

Il doppio "no" a MacMillan e a Kennedy

La politica estera del nuovo presidente statunitense si rese più concreta nel momento in cui fu annunciato il progetto di "Associazione Atlantica" (4 luglio 1962), il cui duplice obiettivo era di offrire maggiori possibilità di scambi commerciali con la CEE e di riprendere il progetto di MLF, Forza multilaterale, in precedenza accantonato, che prevedeva l'installazione di missili Polaris in posizione strategiche in Europa. Se da una parte il primo obiettivo fu raggiunto con la nuova legge del Trade Expansion Act che disciplinava riduzioni del 50% sulle tariffe doganali in caso di prodotti provenienti dalla CEE, dall'altra, il secondo obiettivo si raggiunse con l'Accordo di Nassau tra Stati Uniti e Gran Bretagna, che pianificò l'installazione dei missili Polaris in Inghilterra. Quest'ultima scelta di campo degli Stati Uniti, contribuì ad avvicinarsi sempre di più alla Gran Bretagna, fondamentale alleata per controllare la Francia. De Gaulle, dopo l'Accordo di Nassau, comprese sempre di più come si era formato un'asse anglo - americano in funzione antifrancese. Per questo motivo, il 14 gennaio 1963, il generale francese annunciò alla stampa che la Francia avrebbe posto il veto all'entrata della Gran Bretagna nella CEE. Inoltre, lo statista francese non si perse d'animo e già da qualche tempo aveva stretto sempre di più i contatti con la Germania ovest, sino a dichiarare che avrebbe accettato un suo riarmo, con l'implicita condizione di un amichevole rapporto. In seguito a questa politica d'avvicinamento nei confronti della Germania occidentale, si giunse alla stipulazione del Trattato di collaborazione del 22 gennaio 1963, con il quale si sarebbe costituita un'alleanza difensiva più stretta tra Francia e Germania ovest. Allorché il trattato fu passato al Bundestag per la ratificazione, fu proposto un emendamento che rendeva il Trattato di collaborazione, un trattato complementare a quello dello NATO. In tal modo, la particolare alleanza che De Gaulle voleva stabilire, al di fuori della NATO, veniva meno a causa di un emendamento. Il generale non mancò di esprimere il suo disaccordo e affermò che la Germania rimaneva sempre una legione nelle mani degli Stati Uniti. Per quanto riguardava l'Italia, Fanfani e il ministro degli Esteri Pantani cercarono di avviare un dialogo speciale con gli Stati Uniti, ribadendo la loro alleanza al Patto atlantico. In seno alla CEE, essi tentarono di porsi come intermediari tra Benelux e la Francia, sulla questione dell'entrata della Gran Bretagna nella CEE. Nel momento in cui il tentativo fallì, l'Italia prese una posizione chiara e decisa sul tema: essa non avrebbe accettato l'Unione politica finché non fosse stata risolta la questione della Gran Bretagna. In tal modo, l'Italia decise di schierarsi con gli Stati Uniti di Kennedy, isolando maggiormente la  Francia di De Gaulle.

Hallstein e la "sedia vuota"

Il primo "no" di De Gaulle, annunciato nel gennaio 1963, bloccava sia le intenzioni del presidente statunitense di integrare maggiormente la forza militare della NATO sia la formazione di una terza forza europea, che De Gaulle aveva tentato di costruire. In effetti, il "no" francese aveva contribuito ad una paralisi generale sul piano delle relazioni internazionali. Invero, l'allora ministro degli Esteri tedesco Schroeder propose l'utilizzo del metodo di "sincronizzazione", secondo il quale gli accordi si sarebbero presi su determinati punti, senza essere obbligati a confrontarsi su un intero progetto. La via degli accordi parziali, così tracciata, dal metodo di Schroeder assicurò un relativo sblocco della paralisi, soprattutto sul versante franco - tedesco. Anche la Commissione cercò di reagire alla paralisi, rafforzando la politica agricola, accelerando la realizzazione dei Trattati di Roma e favorendo l'eliminazione delle tariffe doganali. La reazione della Commissione ottenne risultati incoraggianti tra il 1963 e il 1964 cosicché Walter Hallstein che la presiedeva, decise di stendere un progetto, secondo il quale i tributi destinati alla PAC dovevano essere attinti dai diritti doganali e dai "prelievi", in modo da offrire alla Comunità delle proprie risorse da investire, senza essere costretti ad attingere dalle finanze dei singoli paesi membri. A questo scopo, per gestire meglio le risorse della Comunità, il progetto prevedeva di conferire nuovi poteri di controllo al Parlamento. La proposta di Hallstein fu redatta nel dicembre 1964 e fu approvata con maggioranza dalla Commissione. La proposta fu però disprezzata da De Gaulle, il quale non soltanto rifiutò clamorosamente una seconda volta, ma diede l'ordine a tutti i delegati francesi di lasciare gli organi comunitari. Con questo gesto sprezzante, la Comunità europea cadde nella sua più profonda crisi, la crisi della "sedia vuota". Il netto rifiuto francese derivava da una situazione sempre più tesa: i francesi cercavano di contrastare gli Stati Uniti su tutti i piani. Sul versante economico, dal 1965, la Francia sfruttò il sistema internazionale monetario che si era creato con gli accordi di Bretton Woods. Tale sistema internazionale si basava sulla convertibilità del dollaro in oro. La Francia, convertì il suo surplus commerciale di dollari in oro, mettendo in difficoltà il Tesoro statunitense. Sul versante militare, essa annunciò il suo ritiro dalla NATO. In quest'atmosfera negativa, il piano di Hallstein si tramutò in un ulteriore progetto da rifiutare. Tuttavia fu evitato il peggio, poiché a Lussemburgo, il 30 gennaio 1966, Joseph Luns, il ministro degli Esteri lussemburghese avanzò una nuova proposta tentando di conciliare la volontà francese con il resto della Comunità europea. L'evento prese il nome di "compromesso di Lussemburgo". Il piano di Luns prevedeva che per progetti di notevole portata, il Consiglio dei Ministri doveva esprimersi all'unanimità. Oltre a ciò, il piano affermava che se ci fossero state delle divergenze, esse non dovevano divenire presupposti per un blocco delle trattative in corso. In ogni caso i lavori della Comunità dovevano riprendersi e questo era un segno della volontà di continuare a credere nelle istituzioni comunitarie.

L'ultimo schiaffo dell'Eliseo

Dopo la crisi della "sedia vuota", la candidatura della Gran Bretagna ritornò ad essere la questione da risolvere in seno alla Comunità europea. Questa volta, non era più MacMillan a proporla, ma il laburista Harold Wilson, il quale stava affrontando una situazione economica difficile. L'EFTA, da una parte, aveva dato i suoi frutti, ma Wilson preferì puntare tutto sulla CEE. Nell'autunno 1966, la Gran Bretagna cominciò a consultare gli altri paesi per avere un quadro più chiaro sulla situazione e sulla possibilità di ottenere il consenso per l'adesione. L'Italia era oramai d'accordo e il ministro degli Esteri Pantani, riuscì ad organizzare un vertice a Roma, tra il 29 e il 30 maggio 1967, al quale erano invitati gli altri "Cinque" per discutere della questione della Gran Bretagna. Nonostante il clima internazionale fosse mutato, e nonostante la Gran Bretagna non si avvalesse più del supporto statunitense (al posto di Kennedy vi era Lyndon Johnson, concentrato sulla guerra del Vietnam), De Gaulle rifiutò ancora. L'unico risultato che si ottenne fu sull'accordo di fondere i tre istituti comunitari (CEE, EURATOM, CECA) entro il primo luglio 1967. Il "no"di De Gaulle, fu ripetuto ancora una volta nella riunione dei "Sei" del 19 dicembre 1967. Nel momento in cui si decise di spostare la discussione in seno all'UEO, ove le pressione francesi erano sicuramente meno influenti, il ministro degli Esteri Pietro Nenni, in collaborazione con Altiero Spinelli, cercò di raccogliere tutti i consensi per l'adesione della Gran Bretagna alla CEE. Tuttavia, ciò non piacque al generale francese, il quale, repentinamente mutò la propria visione ed incontrò segretamente l'ambasciatore britannico Christopher Soames il 4 febbraio 1969, accordandosi su un direttorio anglo - francese, da estendersi in seguito alla Germania e all'Italia. In tal modo De Gaulle riprendeva in mano la situazione senza che iniziative esterne come quelle italiane, avrebbero suggellato uno speciale rapporto con la Gran Bretagna. Conseguente ed ultimo gesto sprezzante di De Gaulle fu quello di mancare alla riunione della UEO, nella quale si sarebbe discusso della proposta di Nenni sulla questione britannica. Pochi mesi dopo, nell'aprile 1969, De Gaulle uscì dalla scena politica francese. Con la fine del suo incarico terminò un periodo di crisi politica per la Comunità. Tuttavia, il MEC (Mercato Europeo Comune) registrò degli ottimi risultati, con il raggiungimento, nel luglio del 1968, in anticipo, dell'annullamento delle tariffe doganali. In parallelo, invece, l'EURATOM non ebbe successo, poiché esso era stato piegato secondo la volontà francese per finanziare e costruire la "force di frappe", una politica che aveva preso il marchio di "colbertisme high - tech".

La seconda conferenza dell'Aja e le aperture di Pompidou

L'uscita di De Gaulle dalla politica non impedì alla Francia di riprendere i legami con gli Stati Uniti e la Germania. Il successore del generale, Georges Pompidou, eletto nel maggio 1969, ritenne fondamentale riavvicinare la Francia ai suoi alleati e distaccarsi da quella politica di carattere antistatunitense che aveva marcato la linea estera di De Gaulle. Inoltre, Pompidou comprese la necessità di accettare l'adesione della Gran Bretagna alla CEE. Nel frattempo, per gli Stati Uniti, impegnati sul fronte in Vietnam, due erano gli obiettivi principali: integrare le forze europee con la NATO e ribadire la propria leadership. Pompidou mostrò le sue nuove intenzioni, convocando una Conferenza all'Aja tra il 1° e il 2° dicembre 1969, invitando i governi dei Sei. Alla Conferenza dell'Aja, il neo presidente francese rese chiaro il proprio consenso per l'adesione della Gran Bretagna, a patto che gli accordi sulla PAC fossero stati completati. Oltre al "completamento" della Comunità, Pompidou parlò di "approfondimento", per indicare gli sforzi da condurre per studiare una migliore evoluzione delle strutture comunitarie e di "allargamento", per l'accettazione di nuovi paesi che volevano far parte della CEE. Per i francesi, l'entrata della Gran Bretagna, avrebbe significato un maggior equilibrio per contrastare quella politica detta "ostpolitik" lanciata dal nuovo capo di governo tedesco Willy Brandt. Quest'ultimo, infatti, era stato eletto come Ministro degli Esteri del governo Kisienger, successivo a quello di Erhard che aveva sostituito Adenauer. Nel 1969, Brandt divenne Cancelliere ed avviò una nuova politica estera (ostpolitik) nei confronti della Germania orientale, dell'URSS e dei paesi dell'Europa orientale, con lo scopo di non essere l'ultimo "bastione", in uno scenario bipolare sempre più teso. Brandt, difatti, riuscì a stringere contatti amichevoli e pacifici per migliorare la situazione geopolitica del proprio paese. Oltre a ciò, vi era l'obiettivo per i tedeschi di emanciparsi dagli alleati e di avanzare una politica estera indipendente. Su questa scia, Brandt stipulò un trattato con l'URSS per una risoluzione delle controversie in via pacifica (12 agosto 1970) e un altro con la Polonia firmato a Varsavia il 7 dicembre 1970 che riconosceva la linea Oder - Neisse come confine tra i due paesi. Oltre a questi trattati, sulla linea di pace avanzata, Brandt firmò il trattato di non proliferazione nucleare. Nel frattempo, si avviò una Conferenza alla quale presero parte gli Stati Uniti, il Canada e altri paesi europei. La prima sessione iniziò ad Helsinki, in Finlandia, il 22 novembre 1927 per terminare nel luglio 1975. Nel 1° agosto 1975 fu redatto un documento contenente degli importanti principi che fu firmato da 33 paesi. Il documento era diviso in quattro parti: il primo riguardava i principi politici della sicurezza europea, con l'impegno di riconoscere l'inviolabilità dei confini d'ogni paese e la non interferenza nella politica interna, oltre al riconoscimento dell'appartenenza ad organizzazioni internazionali. La seconda parte riguardava la cooperazione economica, culturale e scientifica tra i vari paesi. La terza parte, invece, riguardava il rispetto dei diritti umani, clausola che fu difficilmente accettata dall'URSS ed infine la quarta parte che indicava una futura Conferenza da tenersi a Belgrado per l'attuazione dei principi tracciati. La Germania ovest, oltre a partecipare alla Conferenza di Helsinki e a firmare il relativo documento, stipulò un trattato con la Germania orientale non appena Ulbricht, a capo del governo, persona rigida e non molto aperta, lasciò l'incarico a Honecker, con il quale, invece, era possibile un dialogo. La stipulazione avvenne il 21 dicembre 1972, con un trattato fra le due Germanie che prevedeva "relazioni di buon vicinato sulla base dell'uguaglianza dei diritti", con un incremento degli scambi commerciali e culturali. Infine, Brandt firmò un nuovo trattato con la Cecoslovacchia, per far cadere gli accordi di Monaco del 1938. Gli obiettivi che si erano tracciati alla Conferenza dell'Aja furono ripresi il 30 giugno 1970, subito dopo che in Gran Bretagna Edward Heath fu eletto come nuovo premier. In tal modo si terminò il "completamento", con il decreto del regolamento finanziario richiesto dai francesi per la PAC e con la conferma dell'adesione di nuovi paesi. Oltre a ciò, si avviarono degli studi per conseguire una prossima unificazione monetaria e politica senza tuttavia toccare il tema della sovranazionalità.

Il negoziato con Londra

Con la completa entrata in vigore della PAC, nacquero dei problemi tra Germania e Francia, poiché quest'ultima, a causa della svalutazione della propria moneta riusciva ad esportare maggiormente i propri prodotti agricoli in Germania, a danno dei produttori nazionali tedeschi. Per ovviare alle fluttuazioni delle monete che incidevano direttamente nell'economia internazionale e più specificamente nel rapporto tra esportazione/importazioni tra due e più paesi, furono introdotti i cosiddetti "montanti compensativi monetari", che equivalevano a delle tasse per coloro che erano favoriti nell'esportare ed a degli indennizzi per coloro che erano danneggiati. In tal modo, con tale soluzione temporanea si cercava di ripristinare le condizioni ideali per un mercato unico. Invero, le fluttuazioni monetarie negli anni '70 furono numerose e per questo motivo i montanti compensativi, da soluzione di breve periodo, si affermarono per un lungo periodo. Oltre alle difficoltà strettamente inerenti alla PAC, un'altra questione si profilava nell'ambito finanziario, cioè quella delle risorse della Comunità che nel 1965 aveva destato il disprezzo francese ed aveva contribuito a paralizzare la Comunità con una delle crisi più profonde. Cinque anni dopo, il francese Pompidou mostrava il proprio consenso e nell'aprile 1970 accettò l'applicazione dell'art. 201 del Trattato di Roma, il quale autorizzava la Comunità di dotarsi di "risorse proprie". L'applicazione sarebbe entrata in vigore il 1° gennaio 1971 e sarebbe stata completa entro il 1° gennaio 1975. Le risorse di cui la Comunità si dotava sarebbero state attinte dai prelievi agricoli, dai dazi delle tariffe doganali e dall'IVA, la tassa sul valore aggiunto. Tuttavia, il cespite principale fu proprio l'IVA e le risorse cominciarono ad essere pienamente disponibili a partire dal 1980. Insieme alla questione delle risorse della Comunità, fu affrontata e regolata la questione dei poteri da conferire al Parlamento, il quale infine aveva:

1) la facoltà di proporre cambiamenti sulle allocazioni fisse, nelle quali in ogni caso le decisioni definitive spettavano al Consiglio dei ministri; 2) il potere di emendare la parte del bilancio non impiegata, che si allargherà solo con il passare del tempo e con la riduzione dei fondi destinati alla PAC; 3) il diritto di approvare o di respingere il bilancio nella sua totalità, atto gravissimo e improbabile per gli effetti di paralisi che avrebbe prodotto sul funzionamento della Comunità;

Con l'attribuzione di queste nuove facoltà al Parlamento, fu risolto il problema della crisi della 1965. L'adesione della Gran Bretagna, fu discussa e risolta subito dopo, anche se durante la fase delle trattative, molte erano le problematiche, dettate dai propri interessi economici - politici, che si affacciavano alla discussione. Difatti, per la Gran Bretagna, il nuovo premier Heath accennò al Commonwealth ed ai privilegi che la sterlina deteneva come moneta di riserva e che gli altri Sei non avrebbero tollerato. Inoltre si discusse della PAC che avrebbe danneggiato il consumatore britannico con un rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli. Tuttavia, questi problemi furono risolti durante un incontro riservato tra Pompidou e Heath: i due si accordarono sul fatto che la Comunità non tenesse più una linea antistatunitense e che la Gran Bretagna privasse la sterlina dal carattere di moneta riserva (una convinzione di Heath che maturava sempre di più allorché i legami con il Commonwealth venivano meno). Tuttavia, l'accordo più importante che fu alla base dell'adesione fu quello di mantenere la Comunità europea un'istituzione priva di poteri sovranazionali; ciò  obbediva ad un medesimo interesse dei due paesi. Insieme alla Gran Bretagna, anche altri paesi aderenti all'EFTA avevano deciso di candidarsi per aderire alla CEE: vi era la Danimarca, l'Irlanda e la Norvegia. Per quanto riguardò la ratificazione a livello parlamentare, la Danimarca si espresse con il 63,5 % contro il 36,5%, mentre l'Irlanda si espresse con l'83% contro il 17% e la Norvegia, invece, respinse il Trattato con il 53,3% dei voti contro il 46,7%. In Gran Bretagna, la ratificazione avvenne il 28 ottobre 1971 con 356 voti a favore e 244 contro e 22 astensioni. In Francia, l'accordo d'adesione fu sottoposto a referendum che diede i seguenti risultati: 10502756 favorevoli, 5008469 contrari ed astenuti 11489230. Le nuove adesioni furono firmate il 22 gennaio 1972 a Bruxelles. Per la Gran Bretagna, con il nuovo accordo, si stabiliva un finanziamento alla Comunità che sarebbe durato fino al 1978 ed un periodo di cinque anni per integrarsi alla PAC e al processo d'abolizione dei dazi doganali. Per quanto riguardava l'EFTA, la Gran Bretagna decise di rimanervi, costituendo progressivamente un'area di maggior scambio. In tal modo, con l'adesione di questi tre nuovi paesi, la Comunità dei Sei diveniva dei Nove e la questione dell'allargamento discussa alla Conferenza dell'Aja era stata risolta. Ultima questione era quella dell'approfondimento, che si risolse nel marzo 1970, con l'incarico affidato al visconte belga Etienne Davignon, a capo di un comitato, di sondare i governi della Comunità sul tema dell'unificazione politica e di predisporre per gli aggiornamenti sui sondaggi, due riunioni all'anno a livello ministeriale. Tuttavia, anche se le discussioni sull'unificazione politica si tennero tra il 19, il 20 e il 21 ottobre 1972, con il rapporto Davignon che affermava che il processo per l'unificazione politica era soddisfacente ma non ancora completo, negli anni a seguire, tra il 1973 e il 1974 non si registrarono slanci in direzione dell'unificazione politica. Soltanto nel dicembre 1974, si consumò il fallimento della Commissione Davignon ma si ritenne necessario proporre nuove iniziative, tra le quali quella di riunire tre volte l'anno gli incontri dei capi di Stato e di governo in un Consiglio Europeo ed infine incaricando il belga Leo Tindemans  di preparare un rapporto per la trasformazione della Comunità in unione politica.

Nixon svaluta la moneta

Gli Stati Uniti, impegnati sul fronte vietnamita non avevano più potuto esercitare come prima la loro influenza in Europa; oltre a ciò, gli stessi paesi europei e il Giappone avanzarono delle politiche economiche di carattere mercantilista che danneggiavano sempre di più gli Stati Uniti ancorati al sistema monetario del gold - standard. Nel momento in cui Richard Nixon fu eletto presidente nel 1968, gli Stati Uniti cercarono nuovi dialoghi con gli europei e avviarono una nuova politica estera ed interna, volte a rimediare i problemi della precedente amministrazione. Per ovviare alle difficoltà che attanagliavano sempre di più l'economia statunitense, il presidente decise di avviare una politica deflazionistica che non riuscì tuttavia a risolvere i due più grandi problemi: la disoccupazione e l'inflazione. Oltre a ciò, tale politica contribuì a scoraggiare gli investitori. Tra il 1970 e il 1971 le speculazioni sul mercato valutario si rendevano sempre più preoccupanti sino al punto in cui Nixon decise di non supportare più la politica del cambio fisso della moneta. Così, nella primavera del 1971, decise di avviare una "nuova politica economica" che avrebbe riguardato l'economia interna ed esterna: per quanto riguardarono le misure interne, si procedette al controllo dei salari e ai tagli alla spesa pubblica; esternamente, fu sancita l'abolizione della convertibilità del dollaro (ciò significava la fine del sistema di Bretton Woods) e un'imposta del 10% sulle importazioni e la svalutazione del dollaro. Questa nuova linea assunta dal presidente aveva come obiettivo quello di colpire i paesi europei e il Giappone, protagonisti in quegli ultimi anni, di una politica commerciale agguerrita ed approfittatrice.

Nascita di un serpente

La crisi monetaria statunitense si ripercosse inesorabilmente sulle economie europee. I nove sempre più preoccupati nell'affrontare le continue speculazioni, si stringevano attorno alla questione già dibattuta alla Conferenza dell'Aja per quanto concerneva lo studio e lo sviluppo di un'unione economica e monetaria. A tal proposito, Raymond Barre, membro della Commissione addetto alle questioni monetarie, era stato incaricato di redigere una serie di proposte sul tema. Insieme a Barre, anche il lussemburghese Pierre Werner fu a capo di un gruppo di studio per la questione monetaria. Il rapporto Werner insieme al piano Barre e la seguente modifica di questi documenti, permise la riunione del Consiglio dei Ministri nel 22 marzo 1971  che decise di avviare un serio iter verso l'unione monetaria. Presupposto di base era quello di armonizzare ed equilibrare le oscillazioni delle monete dei Nove entro un limite pari al ±2,25%. Tale sistema prendeva il nome di "serpente" monetario. Tuttavia, a causa delle forti oscillazioni di cui erano preda le monete dei Nove, agli inizi degli anni '70, soltanto nel 1972 il serpente entrò in azione. Non mancarono, anche in seguito, difficoltà: la Gran Bretagna, per prima, dovette sorpassare la soglia del 2,25% e lasciare il serpente, così come più tardi l'Irlanda e l'Italia di Andreotti. Nonostante questi segni di scoraggiamento, Pompidou, assieme a Brandt, decise di convocare il vertice parigino che si tenne tra il 19 e il 21 ottobre 1972 e che tracciò quattro direttrici che la Comunità dei Nove avrebbero dovuto seguire:

1) istituzione, entro il 1° aprile 1973, di un Fondo europeo di cooperazione monetaria; 2) adozione entro il 1° aprile 1974 di un programma d'azione in tema di politica sociale per il passaggio alla seconda tappa dell'unione economica monetaria; 3) entrata in vigore entro il 31 dicembre 1973 di un Fondo di sviluppo regionale alimentato con risorse proprie; 4) obiettivo di trasformare, entro la fine del decennio, nel rispetto assoluto dei Trattati già sottoscritti, l'insieme dei rapporti fra gli stati membri in una Unione europea; entro il 1980 sarebbe stata realizzata l'Unione economica e monetaria;

Inerente al tema dell'unione politica, il vertice parigino non aggiungeva niente d'importante. Soddisfatto del vertice e dello sviluppo della Comunità era il francese Pompidou, il quale era riuscito a rispettare i tre obiettivi che si era posto alla Conferenza dell'Aja: "completamento", "approfondimento", "allargamento". In tal modo la Francia era riuscita a prendere il controllo della situazione e si presentava come perno e motore principale della Comunità europea.

Kissinger e l'anno dell'Europa

Henry Kissenger, diplomatico statunitense di prestigio, fu nominato dal presidente Nixon come "consigliere speciale per gli affari della sicurezza nazionale". Egli collaborò con il presidente per tracciare la nuova politica estera col fine di riallacciare i contatti con gli europei. Il 23 aprile 1973, durante il pranzo annuale dell'Associated Press a New York, Kissinger parlò del 1973 come l'anno dell'Europa, inteso come periodo durante il quale ristabilire i legami con i paesi europei. Tuttavia, ciò che caratterizzò la sua visione, furono le parole che egli espresse nell'occasione, affermando: "Per ciò che riguarda i rapporti economici la Comunità europea ha sviluppato in modo crescente la propria vocazione regionale, mentre gli Stati Uniti si trovano ad assumere responsabilità molto più vaste per quanto attiene il commercio internazionale e il sistema monetario". Questo discorso di Kissinger irritò gli europei e soprattutto i francesi, i quali avevano sempre osteggiato la dominante politica statunitense. Kissinger, invece, volle esprimere ancora una volta che i due poli più grandi e più importanti erano rappresentati rispettivamente dagli Stati Uniti e dall'URSS; l'Europa, in tale contesto, era considerata niente di più che una potenza di carattere regionale. Ciò, tuttavia, non impedì la firma di una dichiarazione d'interdipendenza tra America ed Europa in materia di difesa (nel novembre 1973), che affermava però l'indipendenza europea nel settore politico ed economico, dando così uno "schiaffo" morale al tentativo degli Stati Uniti di ridurre l'importanza europea. Ma la questione si rovesciò nel momento in cui scoppiò la guerra dello Yom Kippur (giorno dell'espiazione nel calendario ebraico) il 6 ottobre 1973. L'attacco egiziano colpì improvvisamente lo stato d'Israele. Gli Stati Uniti, con il nuovo segretario di stato Kissinger, decisero di supportare l'Israele e offrire rifornimenti ed aiuti, cercando di coinvolgere anche i paesi europei, i quali, tuttavia, si rifiutarono di aderire poiché temevano la reazione dei paesi dell'OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), creata nel 1960. I paesi europei si giustificarono spiegando che il Patto Atlantico non copriva l'area del conflitto. Tuttavia, la reazione statunitense provocò l'irritazione del mondo arabo, che unito, mediante l'OPEC, praticò una politica umiliante d'embarghi nei confronti dei paesi che apertamente sostenevano Israele (Stati Uniti, Portogallo, Rhodesia, l'Olanda, il Sud Africa). Nei confronti degli altri paesi, invece, che rimanevano neutrali, fu praticato l'innalzamento dei prezzi del petrolio che dai 3 dollari per barile dell'ottobre 1973 si arrivava a 11,65 dollari nel dicembre 1973. Il prezzo del petrolio si era dunque quadruplicato nel giro di tre mesi e ciò concorreva a piegare i paesi europei industrializzati (tranne la Francia che sosteneva apertamente i paesi arabi) la cui principale fonte energetica era il petrolio.

Sindrome da "shock" petrolifero

L'aumento dei prezzi del greggio causò notevoli difficoltà e problemi ai paesi europei, i quali tentarono inizialmente di riunirsi per programmare dei piani di risparmio energetici. Nel frattempo, l'impatto sull'economia si rendeva sempre più acre sino a generare un'inflazione elevata e una disoccupazione preoccupante. I paesi europei, primo tra tutti la Francia, respinse il tentativo di Kissinger nel 1974 di cercare una soluzione comune nei confronti del mondo arabo. La stessa Francia, con il ministro degli Esteri Jobert, entrò in aperto contrasto con gli Stati Uniti. I paesi europei, dopo una riunione del Consiglio dei ministri, decisero di avviare un rapporto politico - economico con il mondo arabo, senza l'interferenza degli Stati Uniti. Kissinger, quando seppe del dialogo che gli europei vollero avviare da soli e senza alcuna consultazione con gli Stati Uniti, affermò che sarebbero seguite delle "gravi conseguenze" nel rapporto con l'Europa. Tuttavia, il contrasto trovò altre occasioni nelle quali manifestarsi: la crisi di Cipro del 1974 e la caduta del regime dittatoriale portoghese (sempre spalleggiato dagli Stati Uniti) di Marcelo Caetano. In più, si diffondeva in Europa un sentimento di antiamericanismo percepito per lo più tra le masse giovanili.

L'asse tra Schmidt e Giscard

Nel 1974 il presidente francese Pompidou morì, e l'incarico fu conferito a Valery Giscard D'Estaing. In Germania ovest, Willy Brandt lasciava il posto a Helmut Schimdt ed in Gran Bretagna, Heath perse le elezioni e il nuovo premier fu il laburista Harold Wilson. Nello stesso anno si discusse al vertice parigino il contributo britannico alla Comunità, una questione che era stata sollevata non appena la Gran Bretagna aveva aderito alla CEE. Soltanto a Dublino, tra il 10 e l'11 marzo 1975 fu stabilito un meccanismo correttore attraverso il quale diminuiva la dose d'aiuti e il contributo che la Gran Bretagna doveva alla Comunità. Ciò, non attutì in parte le richieste britanniche, tuttavia, in un referendum sul livello di consenso dell'entrata in Europa, i britannici s'espressero con il 67,2% dei voti favorevoli. Al vertice parigino, si era anche deciso di istituzionalizzare i Consigli europei, in altre parole quelle riunioni che vedevano presenti i capi di stato e di governo con i rispettivi Ministri degli Esteri. I Consigli europei si sarebbero riuniti tre volte l'anno ed avrebbero detenuto poteri esecutivi su molti settori, compresa la politica estera. La Commissione, invece, deteneva poteri di proposta, di promozione e sviluppo. Per contrastare (o meglio equilibrare) i nuovi poteri conferiti ai Consigli europei, Giscard propose di rafforzare l'Assemblea parlamentare, rendendola eleggibile a suffragio universale e diretto. La proposta francese trovò l'appoggio degli altri partners europei. Oltre a ciò, si spianò la strada per la costituzione del Fondo di sviluppo regionale, sempre contrastato dai tedeschi, ma che adesso trovava il via libera dopo il consenso tedesco. Infine, Leo Tindemans era incaricato di stendere un rapporto da consegnare alla fine dell'anno, per studiare delle proposte per un'Unione europea da rendersi concreta entro la fine del decennio.

La paralisi comunitaria

All'indomani del vertice parigino del 1974, la Comunità europea cadde in crisi. Nel biennio 75' - 76' il rialzo del prezzo del greggio continuò ad incidere negativamente sulle economie dei Nove. Mentre gli Stati Uniti, invece, nella Conferenza di Giamaica del 1976, riuscivano a creare un sistema ove l'oro era sostituito con i "diritti speciali di prelievo" calcolati in conformità ad un paniere delle principali monete mondiali e quindi favorendo il dollaro negli scambi commerciali, i vari paesi europei agirono differentemente contro la crisi economica. Da una parte, Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, tentarono di riprendere la crescita mediante gli investimenti; in particolare, la Francia investì sul settore nucleare costruendo numerosi centrali e divenendo il primo paese europeo produttore d'energia elettrica; dall'altra parte, vi era l'Italia che cercò di superare la crisi aumentando la spesa pubblica e dunque il deficit nazionale. La Gran Bretagna, riuscì invece a sfruttare i giacimenti petroliferi del Mar del Nord ed in parte attutì la crisi. La Germania, infine, si rese conto che era necessario avviare e riprendere i dialoghi con gli Stati Uniti e a tal fine instaurò un rapporto speciale con Washington. I vari paesi europei avevano agito soli ed indipendenti anche se un tentativo comune fu proposto da Giscard per contrastare una crisi che investiva tutta l'Europa. Giscard propose un summit dove avrebbero partecipato tutte le più grandi potenze. Gli Stati Uniti furono invitati, con il nuovo presidente Gerard Ford ed il segretario di Stato Kissinger. Oltre agli Stati Uniti, fu invitato il Giappone di Maki e la Gran Bretagna di Wilson, ad eccezione dell'Italia, non voluta Giscard perché stava attraversando una crisi economica che difficilmente avrebbe superato. Tuttavia, le pressioni degli Stati Uniti riuscirono a far rientrare l'Italia nel summit, ma il vertice non concluse niente di concreto. Allo stesso modo, il rapporto Tindemans era votato al fallimento nel 1977, dato che tutte le proposte contenute nel documento non furono accolte. In tal modo si rendeva evidente una paralisi comunitaria che aveva impedito seri e concreti sviluppi. Soltanto alcuni nuovi accordi commerciali con i paesi africani, con il Trattato di Yaoundé (luglio del 1963) e poi con la Conferenza di Lomé (febbraio 1975) stimolarono gli scambi commerciali con i paesi dell'ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). Oltre a ciò furono stretti legami commerciali con Egitto, Siria e Libano (gennaio 1977), con Israele e Jugoslavia, con Turchia, Cipro e Malta.

L'ora dello SME

A seguito della crisi economica che interessava la maggior parte dei paesi europei, vi furono i primi segni di ripresa nel 1977. La Germania, tramite una politica prettamente deflazionistica riusciva a riprendersi insieme alla Francia. Gli Stati Uniti, invece, vivevano la fine della coppia Ford - Kissinger e l'elezione nel novembre 1976 del nuovo presidente democratico  Jimmy Carter, con il segretario di stato Zbigniew Brzezinski. L'amministrazione Carter interruppe quel rapporto speciale che si era creato in precedenza tra Bonn e Washington. Difatti la nuova presidenza, dietro consiglio di Brzezinski, avanzava una linea politica economica detta delle "tre locomotive", riferendosi alla Germania, al Giappone e agli Stati Uniti. I tre paesi, secondo il piano statunitense, avrebbero dovuto espandere la loro economia in modo tale da creare maggiori benefici sociali, con la possibilità di far crescere economicamente anche gli altri paesi in via di sviluppo. Tuttavia, la Germania declinò poiché essa non avrebbe supportato politiche economiche espansioniste. Schimdt preferiva invece una politica deflazionistica. Quando l'appello di Carter si rivolse all'intera Comunità, i paesi europei declinarono. Non bastò neanche l'incontro segreto a Versailles nel febbraio 1978, tra Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna  e Giappone (l'Italia fu esclusa) per avvicinare l'economia europea a quella statunitense. Al contrario, gli europei decisero di riprendere il tema dell'unione monetaria, prima discusso nel vertice di Parigi del 1972. Il nuovo presidente della Commissione, Roy Jerkins, propose l'unione monetaria insieme all'elezione a suffragio universale e diretto dell'Assemblea parlamentare e all'adesione di Spagna e Portogallo. La proposta fu discussa ed approvata in seno al Consiglio europeo tra il 7 e l'8 aprile 1978 a Copenhagen, dove fu anche decisa l'elezione diretta del Parlamento europeo, nonostante i britannici espressero il loro dissenso. Qualche mese più tardi a Brema e in seguito a Bruxelles fu stabilito e programmato il nuovo sistema monetario europeo. Esso era composto da tre elementi complementari: l'ECU (European Currency Unit), il cosiddetto "meccanismo di cambio" e quello della solidarietà finanziaria. L'ECU era una moneta che riuniva le monete dei paesi della Comunità a seconda delle rispettive economie. Il marco tedesco, ad esempio, incideva nell'ECU con una percentuale pari al 53%, mentre il franco francese incideva con il 19,8%, la sterlina con il 13,3% e la lira con il 10,5%. Il meccanismo di cambio stabiliva che le singole monete potevano oscillare rispetto alla parità centrale dell'ECU del ±2,25% rispetto alle altre monete. Se una moneta si fosse avvicinata ai limiti rispetto ad un'altra, le banche centrali dei due paesi coinvolti avrebbero venduto o acquistato moneta per riequilibrare il tasso verso il livello di parità. In pratica, lo SME si configurava come un sistema monetario a tasso di cambio fisso. Infine la solidarietà finanziaria si basava su un meccanismo che garantiva crediti di breve e medio termine per coloro che si sarebbero trovati in difficoltà. Il Sistema Monetario Europeo era così progettato ma la Gran Bretagna con James Callaghan, per via delle elezioni anticipate e per evitare di perdere il proprio consenso politico, decise di non aderire ad un sistema che avrebbe troppo avvantaggiato il marco rispetto alla sterlina. Lo SME iniziò a funzionare nel marzo 1979; otto paesi vi presero parte: Germania, Francia, Danimarca, Benelux, Irlanda e Italia. Quest'ultima, dopo un primo "no" a causa dell'impossibilità di rispettare le oscillazioni entro il 2,25% fu convinta da Schmidt, in un incontro a Siena con Andreotti, con la concessione di un'oscillazione pari al 6%. In tal modo lo SME si presentava come un sistema monetario in grado di concorrere con quello statunitense. Ciò, contribuì a rendere sempre più critici i rapporti tra i paesi europei e gli Stati Uniti.

La Thatcher e gli anni dell'<<europessimismo>>

Il meccanismo correttore, deciso nel vertice di Dublino del 1975, aveva in parte soddisfatto l'allora premier britannico Harold Wilson, che aveva sollevato il problema dell'oneroso sforzo sostenuto dalla Gran Bretagna nel finanziare la Comunità. Tale questione fu ripresa allorché Margaret Thatcher fu eletta Premier, il 4 maggio 1979. Ella decise di avviare una politica di stampo liberale, con l'intenzione di sanare la situazione economica britannica sempre più preoccupante, imponendo una restrizione del deficit. Thatcher cercò, dunque, di sollevare il problema in seno al Consiglio di Strasburgo tra il 21 e il 22 giugno 1979 e in seguito a Dublino tra il 29 e il 30 novembre 1979. Il nuovo premier fu chiaro e distinto e così affermò: "Avremo un deficit per il 1980 di 1700 miliardi di ECU, di gran lunga superiore a quello tedesco. Per gli anni seguenti sarà peggio. Così non andiamo avanti". La Thatcher, dopo queste parole, lasciò la seduta. Tuttavia, i consigli che seguirono a quello Dublino non risolvettero alcunché. Soltanto quando l'inglese Roy Jerking, presidente della Commisione, fu sostituito dal lussemburghese Gaston Thorn, il 1° primo gennaio 1981, allora si studiò un nuovo piano per la Comunità, che riguardava anche il settore agricolo. In particolare, il rapporto Thorn prevedeva che la voce relativa alle spese agricole non fosse considerata come una parte del deficit, poiché si prevedeva un indennizzo fornito da coloro che traevano maggiori profitti dalla PAC da destinarsi a coloro che, invece, ne erano svantaggiati, come nel caso della Gran Bretagna. Il rapporto Thorn destò differenti reazioni: la Germania si oppose poiché essa era la prima contribuente della Comunità e non voleva sostenere altre spese; la Gran Bretagna, non si mostrò contraria, mentre la Francia e l'Italia furono favorevoli, a patto che nuove iniziative comunitarie si avviassero.

Prime elezioni a Strasburgo

Le prime elezioni del Parlamento europeo si tennero nella città di Strasburgo, ai confini tra Francia e Germania, tra il 7 e il 10 giugno 1979. Il numero dei deputati era pari a 410 così divisi: 81 alla Repubblica federale di Germania, all'Italia, alla Francia e alla Gran Bretagna, 25 all'Olanda, 24 al Belgio, 16 alla Danimarca, 15 all'Irlanda e 6 al Lussemburgo. Due anni più tardi, con l'adesione della Grecia, poi della Spagna e del Portogallo, si aggiunsero ben 108 deputati (24 per la Grecia, 60 per la Spagna e 24 per il Portogallo). Tuttavia, le prime elezioni per il Parlamento europeo si basarono su dei sistemi elettorali non proporzionati e scorretti, in particolare, per quanto riguardava la distribuzione dei seggi. Oltre a quest'aspetto, si aggiungeva quello dei poteri conferiti al Parlamento, che erano strettamente limitati se posti in confronto con quelli spettanti agli altri organi comunitari. Nel 1980, si registrò il primo contrasto all'interno della Comunità, un blocco nato in seguito all'esercizio del potere di verifica e approvazione del bilancio. Il Parlamento, nel caso in questione, non approvò il bilancio proposto dalla Commissione europea e ciò creò una paralisi a livello istituzionale. Tuttavia, la Commissione, l'anno seguente propose un  medesimo bilancio che il Parlamento europeo fu costretto ad approvare, poiché la Commissione aveva la facoltà di spendere.

Genscher, Colombo e il progetto Spinelli

Il ministro degli esteri tedesco Genscher in collaborazione con il presidente del parlamento europeo Colombo, avanzò al Parlamento europeo una nuova proposta che aveva lo scopo di rilanciare l'Unione europea. Nel documento presentato nel novembre 1981, erano contenute delle proposte per aumentare i poteri del Consiglio europeo e quelli del Parlamento europeo. Tuttavia, la proposta Genscher - Colombo si intrecciò sfortunatamente con le vicende politiche della Francia e della Germania, che non vedevano più alla guida dei propri paesi, Giscard e Schimdt, ma il nuovo presidente di sinistra Francois Mitterand (eletto nel'83) ed Helmuth Kohl (eletto nel'81). Il programma politico economico francese e quello tedesco, distolsero l'attenzione dal progetto di Genscher - Colombo fino al 1983, quando al Consiglio europeo di Stoccarda, il 19 giugno, si fece una "Dichiarazione solenne sull'Unione europea", riprendendo in parte l'idea alla base della proposta Genscher - Colombo. Tuttavia, allora, ogni proposta di allargare i poteri in seno agli organi comunitari e di rafforzare maggiormente la cooperazione politica, non erano menzionati nella dichiarazione. In tal modo, alla chiusura del Consiglio europeo, una nuova impasse bloccava qualsiasi sviluppo in direzione dell'Unione europea. Allo stesso modo, parallelamente, Altiero Spinelli insieme ad altri deputati riuniti nel "Club del coccodrillo", avanzò una proposta sull'Unione europea che fu accolta dal Parlamento il 14 settembre 1983 e approvata il 14 febbraio 1984. Tale proposta prevedeva un maggior potere esecutivo affidato al Consiglio Europeo, ed altri poteri simili a quelli di un parlamento e di un governo tradizionale, da conferire alla Commissione e al Parlamento europeo. Oltre a ciò, la proposta stabiliva le materie in cui l'Unione avrebbe avuto competenza esclusiva (in accordo con il principio di sussidiarietà) e quelle con competenza concorrente. Nelle prime ricadevano il Mercato comune e l'agricoltura, mentre nelle seconde vi erano i trasporti, l'energia e la ricerca. La proposta di Spinelli, tuttavia, rimase soltanto approvata in teoria ma non fu mai applicata e ben presto cadde nell'oblio. In tal modo, si perdeva anche un'altra proposta che voleva dare un nuovo slancio all'Unione europea. Diversamente, al Consiglio di Fountainbleu (25 - 26 giugno 1984), si discusse della questione della Gran Bretagna, che la Thatcher non aveva mancato di sollevare nei precedenti Consigli europei. Questa volta, la questione fu risolta con la decisione di dare alla Gran Bretagna 10 milioni di ECU e di ridurre il suo compenso alla Comunità. Insieme a questa misura, si decise l'aumento dell'IVA dall'1% sino all'1,4% per aumentare i fondi.

Il peso dell'Europa verde

Al vertice del Fountainbleu, fu anche decisa una nuova riforma d'apportare alla PAC. Furono accordati i seguenti punti:

1) per quasi un terzo dei prodotti agricoli veniva fissato un tetto oltre il quale il produttore non avrebbe più ricevuto il prezzo garantito;

2) venivano adottate quote di produzione per un periodo di cinque anni al fine di ridurre la sovrapproduzione di latte;

3) venivano smantellati i Montanti compensativi introdotti nel 1971;

4) veniva razionalizzata la politica dei prezzi al fine di renderla più aderente alle condizioni del mercato; in particolare, per gli anni 1984 - 85 il livello dei prezzi veniva fissato con un aumento medio del 3,3% rispetto a un tasso di inflazione del 5,1%;

5) venivano ridotti o aboliti i sussidi per il latte, le carni, i cereali, la frutta e gli ortaggi;

6) veniva confermato il principio della preferenza comunitaria con la riduzione delle importazioni di prodotti agricoli da Paesi non facenti parte della Comunità;

Ciò contribuiva a rendere meno onerosi i contributi della Comunità da destinare alla PAC. Oltre a ciò, nuove iniziative presero corpo: l'ESPRIT (European Strategie Program), l'EUREKA (European Research Coordination Agency), l'Eurobit, l'Eurobio e l'Euromat. Oltre a ciò, si formava la PETRA (per la formazione professionale), ERASMUS, per lo scambio degli studenti tra i vari paesi europei, COMETT, programma di cooperazione inter - universitaria.

Nuovi soci: Grecia, Spagna e Portogallo

La Comunità, nel 1981, aveva accolto un nuovo membro: la Grecia. Il 1° gennaio 1986 accolse altri due paesi, la Spagna e il Portogallo. Per essi, erano previsti 7 anni d'integrazione per raggiungere la piena libertà di circolazione dei lavoratori, dei servizi e dei capitali. L'adesione della Spagna fu possibile soltanto quando si liberò da Franco, morto nel 1975. Anche il Portogallo usciva dall'esperienza dittatoriale di Caetano, che cadde nel 1974. I due paesi, contribuirono ad equilibrare il peso preponderante degli altri paesi del nord all'interno della Comunità europea. Nel frattempo, altri paesi si candidavano: Turchia, Malta, Cipro, Austria, mentre la Groelandia aveva scelto di non fare più parte della Comunità.

Delors e il suo Libro bianco

Jacques Delors, fu nominato presidente della Commissione europea il 1° gennaio 1985. Francese, uomo d'indubbio prestigio politico e dotato d'acuta intelligenza ed europeista convinto, elaborò dopo il vertice di Fountainbleu, un Libro bianco - Il Programma novanta - che raccoglieva alcune delle discussioni che riguardavano l'eliminazione delle dogane e più in particolare dei vincoli "tecnici" che comportavano ancora dei costi per lo scambio commerciale nell'area della Comunità europea. Anche una sentenza della Corte di Giustizia del febbraio 1979, si poneva sulla stessa linea, affermando che ogni bene prodotto in uno stato della Comunità doveva avere libero accesso e libera commercializzazione negli altri Stati membri e che pertanto i governi avrebbero dovuto provvedere a rimuovere tutti quegli ostacoli e quelle barriere tecniche che si opponevano alla libera circolazione dei prodotti. Tale problema doveva considerarsi sempre di più entro un contesto di crescita economica che creava nuove domande e richiedeva nuovi canali di sviluppo. Su questo piano, le barriere non - tariffarie, si presentavano come degli ostacoli e dei costi inutili, che non facevano altro che intralciare un libero e più proficuo scambio commerciale. Il Libro bianco di Delors conteneva i seguenti punti:

1) l'eliminazione delle barriere fiscali, i controlli doganali sulle merci, sull'immigrazione e sui passaporti, l'ispezione dei bagagli e tutte quelle complesse operazioni che avvengono alle frontiere e che, specie per i beni, ritardano la circolazione e ne accrescono i costi;

2) l'eliminazione delle barriere tecniche, quelle cioè create da norme e regolamenti diverse che prevedono i controlli cui possono essere sottoposte le merci una volta superate le frontiere, prima di venire immesse sui mercati;

3) la rimozione delle barriere fiscali, attraverso l'armonizzazione dei tributi e delle aliquote, per evitare che, con manovre fiscali, gli scambi commerciali possano essere favoriti o scoraggiati e la concorrenza possa essere distorta e alterata;

Il Libro bianco, inoltre, richiedeva una maggiore liberalizzazione nei vari settori coinvolti dalla Comunità. Invero, i punti contenuti nel documento di Delors erano stati ripresi da due comitati che si erano riuniti in precedenza: il Comitato Dooge e il Comitato Adonnino. Il primo aveva studiato la costituzione di uno spazio economico europeo omogeneo ed una maggiore cooperazione politica, mentre il secondo si era concentrato sull'aspetto politico e sul rapporto tra cittadino e Comunità e dunque sull'elezione diretta e a suffragio universale del Parlamento europeo. In tal senso, il Libro Bianco si poneva come un bivio per la Comunità, la quale si ritrovava a scegliere tra la via dello sviluppo o piuttosto quella della rinuncia, che avrebbe comportato, paradossalmente, un'impasse totale della Comunità, rendendo vani tutti gli sforzi che fino allora si erano riversati a favore della causa europeista.

Milano, il vento del decisionismo

Al Consiglio di Milano, che si tenne tra il 28 e il 29 giugno 1985, il presidente del Consiglio italiano, Bettino Craxi, propose di modificare il sistema di votazione, da quello di unanimità a quello di maggioranza (basandosi sull'art. 236 dei Trattati di Roma), per affrontare il tema della revisione istituzionale, che doveva essere affidato ad una Conferenza intergovernativa. Il vento dell'europessimismo si era ormai assopito, tuttavia, i risultati della votazione videro la Gran Bretagna, la Danimarca e la Grecia, rifiutare la convocazione della Conferenza intergovernativa sulla revisione istituzionale della Comunità. La maggioranza vinse e dunque si accettava il Libro bianco di Delors. Durante i primi lavori che si tennero tra il settembre fino al dicembre 1985, i delegati tentarono di cercare un compromesso con i paesi che si erano opposti. Jacques Delors, presente alle sedute, riunì, trascurando volutamente molti punti del suo libro, tutte le proposte che riguardavano la politica estera, la sicurezza e l'integrazione europea. L'aspetto più importante, per Delors, rimaneva quello dell'eliminazione delle barriere doganali. Tuttavia, i lavori alla Conferenza intergovernativa mancarono nel comprendere veramente l'iniziativa di Delors. Nel Consiglio europeo di Lussemburgo (2 - 3 dicembre) e nell'ultima seduta della Conferenza intergovernativa (16 - 17 dicembre 1985) si trovarono diversi accordi: il voto a maggioranza cadeva e si ripristinava quello all'unanimità ad eccezioni delle questioni sul mercato comune. Inoltre, non vi erano stati riferimenti all'Unione monetaria. L'Italia, a differenza della Gran Bretagna, si sentì insoddisfatta allorché aveva cercato di coinvolgere il Parlamento europeo durante i lavori della Conferenza intergovernativa, con il fine di dare nuovi slanci ad una situazione di paralisi che la Gran Bretagna della Thatcher continuava a non sbloccare. La firma dell'Atto avvenne il 17 febbraio 1986, con la chiara insoddisfazione italiana.

Verso il mercato unico

L'Atto Unico entrava in vigore il 1° luglio 1987. L'Atto Unico si costituiva in due parti: la prima era dedicata alle modifiche dei Trattati di Roma e al conseguimento del mercato comune entro il 1992; la seconda, invece, era dedicata alla politica estera. Oltre a ciò, con l'Atto Unico, il Fondo europeo di sviluppo regionale entrava a far parte degli enti comunitari, mentre nuove proposte toccavano il tema della tecnologia, della politica ambientale e sociale. In particolare, per ciò che concerneva la riforma dei trattati di Roma, era predisposta la votazione a maggioranza qualificata nel Consiglio europeo per diverse materie. Oltre a ciò, il Parlamento europeo godeva di nuovi poteri: accanto a quello della procedura di cooperazione che consisteva in una doppia lettura dei documenti, vi era quello del "parere conforme" che si applicava nel caso di questioni rilevanti come ad esempio l'adesione di un nuovo membro. Per quanto riguardava la seconda parte dell'Atto, la politica estera, erano programmate delle riunioni dei ministri degli Esteri da tenersi quattro volte l'anno ed in più era accordata una maggiore cooperazione politica tra Parlamento e Commissione. Infine, era creato un nuovo Segretariato permanente (con sede a Bruxelles) incaricato di gestire il settore della politica estera. Altro tema affrontato fu quello della sicurezza, nel quale si chiedeva ai "Dodici" di collaborare maggiormente, facendo riferimento sia alla NATO sia all'UEO. L'Atto Unico, che prendeva spunto dal Libro bianco di Delors, si configurava come un insieme di nuove riforme che si ponevano alla base di quelle che condurranno alla trasformazione della Comunità europea in una vera Unione. Per consentire la facilitazione dell'applicazione dell'Atto Unico, Delors non perse tempo e studiò un pacchetto con i tre seguenti punti da applicarsi prima dell'entrata in vigore dell'Atto Unico:

1) la riforma della politica agricola con una compressione delle spese per ridurre le eccedenze; 2) la riforma del sistema di finanziamento e di bilancio della Comunità per aumentare le risorse; 3) il potenziamento dei cosiddetti fondi strutturali per diminuire il divario tra il Nord e il Sud;

Il pacchetto Delors, introduceva il concetto di "quarta risorsa", che indicava un altro tributo che doveva aggiungersi agli altri tre (prelievi agricoli, dazi doganali, quota di gettito IVA), da destinarsi ai fondi della Comunità. La quarta risorsa si basava sulla differenza tra PIL e l'imponibile dell'IVA. La "quarta risorsa" incontrò l'opposizione italiana, che desiderava, invece, che essa si calcolasse soltanto in base al PIL. Le richieste italiane furono accolte durante il semestre tedesco, con Helmut Kohl alla presidenza del Consiglio europeo. Con il Consiglio Europeo di Hannover (27 - 28 giugno 1988), gran parte degli obiettivi del Libro bianco erano stati rispettati e raggiunti. Il clima di fiducia che ormai regnava nell'atmosfera europea, spinse i "Dodici" a riprendere il tema dell'Unione monetaria e di quella politica, decidendo che un anno dopo, al Consiglio di Madrid, si sarebbe discusso il progetto per arrivare alla moneta unica. L'Italia, dal canto suo, dovette fare i conti con la propria economica e chiedeva la prorogazione di due anni per il raggiungimento della totale liberalizzazione dei movimenti di capitali nell'area comunitaria, secondo quanto previsto dall'Atto.

Unificazione tedesca e moneta unica

La questione monetaria fu ripresa (come accordato) al Consiglio europeo di Madrid 26 - 27 giugno 1989 e furono poste delle condizioni per raggiungere l'Unione Europea Monetaria (UEM). Tre erano le principali condizioni:

1) la totale convertibilità delle monete europee; (punto già realizzato) 2) la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali; (punto che si sarebbe raggiunto entro il 1990, poiché l'Italia aveva chiesto un ritardo) 3) l'eliminazione dei margini di fluttuazione tra le varie valute e l'instaurazione di rapporti di cambio rigorosamente fissi; (il  punto più importante e più difficile da raggiungere)

Per ciò che concerneva l'ultima condizione, il documento di Delors proponeva la creazione di un Fondo europeo di riserva, che si doveva porre alla base di una futura Banca centrale europea, che avrebbe emesso la nuova moneta e che avrebbe sorretto la nuova unione monetaria. Il documento di Delors accennava all'UEM, ma la vera decisione di costituire un'unione monetaria, fu presa al Consiglio di Roma del 27 e del 28 ottobre 1990. Subito dopo il Consiglio di Madrid, la situazione in Germania est divenne critica. Honecker, avvertito da Gorbaciev, non era riuscito a distendere il clima politico né a promuovere nuove riforme in grado di assicurare maggiori libertà ai cittadini. Per questo, nell'estate del 1989, molti cittadini della RDT, lasciavano il territorio per andare in Ungheria ed in Cecoslovacchia, esercitando il diritto di libera circolazione entro l'area del Patto di Varsavia. Da quei paesi, poi, riuscivano ad uscire e a fuggire. Il fenomeno delle fughe aumentò sempre di più fino a rendere sempre più tesa la questione politica all'interno della RDT. Difatti, a Berlino, trecentomila persone scesero in piazza per protestare, chiedendo elezioni libere e un governo democratico (3 ottobre). Honocker, lasciò la guida ad Egon Krenz, mentre Will Stoph si dimise da primo ministro. Il destino della SED era tracciato: l'8 novembre si dimetteva l'intero politjburo. La stessa sera, era stata comunicata la notizia che i cittadini potevano uscire dal territorio della RDT da qualsiasi punto ove fosse possibile. Il giorno dopo accadde la rottura del Muro di Berlino edificato nel 1961 che concorreva ad aggravare la crisi. Helmut Kohl ritenne indispensabile l'intervento della RFT, con l'intenzione di unificare i territori della RDT, per costituire un'unica Germania. Il 28 gennaio 1990, si tennero le prime elezioni libere, che vedevano contrapposte la CDU contro la SPD. I cristiani - democratici programmavano un'unione immediata mentre la SPD pensava ad un'unificazione graduale e diluita nel tempo (così come era auspicata da Gorbaciev). I risultati videro il 94% dei votanti scegliere Kohl e l'unificazione politica. Le due condizioni per l'unificazione erano: l'accettazione della stessa moneta e la collaborazione paritaria tra i due governi. L'aggiunta dei nuovi membri era disciplinata dalla Legge fondamentale della RFT. La questione tedesca impensieriva i partner europei, l'Unione sovietica e la Polonia. I partner europei paventarono una ripresa economica della Germania, oramai unita, che avrebbe scompensato l'equilibrio della Comunità europea. Oltre a ciò, vi era il pericolo che la Germania puntasse più i suoi interessi verso l'area dei Balcani, tralasciando la Comunità. Mitterand avanzò inizialmente dei dubbi, poi alla fine sposò la causa tedesca, con il Consiglio di Strasburgo (8 e 9 dicembre 1989) che accettò il principio di autodeterminazione tedesco. Tuttavia, Mitterand fece chiaro come fosse importante, parallelamente all'unificazione, un passo ulteriore per consolidare le strutture della Comunità. Per questo motivo, Kohl e Genscher lavorarono affinché la questione dell'unificazione tedesca s'intrecciasse con quella dell'unione monetaria, alla quale avrebbe partecipato anche la "nuova" Germania. Nonostante il "no" della Thatcher, riprendendo l'art. 236, si procedette con una votazione a maggioranza qualificata, che stipulò l'Unione monetaria e l'unificazione tedesca. Il processo dell'UEM sarebbe entrato in vigore il 1° luglio 1990. Con lo stesso metodo, per aggirare il costante "no" della Thatcher, si procedette ad accettare la "Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori", ideata da Delors. In tal modo, i tedeschi avevano ormai offerto la garanzia di convertire il marco per la Comunità europea in cambio di vedersi riconosciuta dalla Comunità l'unificazione, che ormai estingueva tutti i diritti delle potenze di occupazione sul territorio tedesco. L'unificazione si completò il 3 ottobre, con la nuova Repubblica federale tedesca. Nel frattempo, l'asse tra Mitterand e Kohl si faceva sempre più forte, proponendo una federazione europea o una confederazione. Durante il consiglio straordinario di Dublino (28 aprile 1990) e quello seguente, tenuto sempre in Irlanda nel giugno 1990, si decise, sempre con un voto a maggioranza, di proseguire all'unificazione politica della Comunità (parallelamente a quella monetaria). In un'atmosfera di piena fiducia, la collaborazione si strinse tra Bonn, Parigi e Roma, contente di aver patrocinato l'unificazione tedesca sotto le istituzioni comunitarie. Oltre a ciò, la Germania di Kohl era riuscita a trovare l'accordo con l'Unione sovietica, favorito ad un ingente aiuto economico concesso ai sovietici da parte dei tedeschi, il 16 luglio 1990. Ed infine, fu risolta la questione con la Polonia, allorché il 14 novembre 1990, fu firmato un trattato che garantiva le frontiere stabilite fra i due paesi nel 1945. Infine, la Germania decideva di prendere parte agli accordi di Parigi del 19 e 21 novembre in tema di armamenti convenzionali.

La strada di Maastricht

Durante il semestre di presidenza italiana in seno al Consiglio Europeo, la coppia Andreotti - De Michelis, riuscì a riunire verso la fine del 1990, due vertici a Roma; il primo si tenne tra il 27 e il 28 ottobre mentre il secondo qualche mese più tardi, il 14 dicembre. Nella prima riunione l'iniziativa italiana riuscì a far accordare i partner europei sulla seconda fase dell'Unione monetaria che iniziava il 1° gennaio 1994 (mentre la prima era già stata avviata nel luglio 1990). Tuttavia, per quanto concerneva l'Unione politica, niente di concreto fu deciso, poiché l'influenza negativa della Thatcher continuava a permanere nell'atmosfera del Consiglio. Nonostante ciò, la premier britannica fu costretta a lasciare il proprio posto a John Major, che alleggeriva la pesante situazione che la Gran Bretagna, sin da quando la Thatcher era stata al potere, aveva contribuito a seminare all'interno della Comunità. Il secondo vertice di Roma riguardò invece i temi della politica estera e dell'Unione politica e gran parte delle discussioni si annodavano attorno al sistema di voto da adottare per la politica estera: sistema di voto all'unanimità o sistema di voto a maggioranza qualificata. Oltre a ciò si parlò del principio di sussidiarietà, che era stato incluso nel Libro bianco di Delors. Concluso anche il secondo vertice senza alcuna decisione considerevole, si avviarono nel 1991 le due Conferenze intergovernative rispettivamente sull'Unione monetaria e sull'Unione politica. I temi affrontati riguardavano il sistema monetario e la politica estera. Il sistema monetario era stato già studiato e predisposto dal Libro bianco che accuratamente ne aveva programmato ogni fase, senza, tuttavia, fissare alcun termine determinato di tempo, che invece doveva essere deciso durante la Conferenza stessa. Alla fine, il tema che prevalse fu quella della politica estera che s'intrecciava anche a quello della difesa, sul quale i partner europei si spaccavano in due gruppi: da un parte l'asse franco - tedesco che concepiva l'UEO come braccio armato di una futura unione politica; dall'altra parte, un'asse italo - britannico - olandese che era più favorevole per un'integrazione dell'UEO nella NATO. Gli Stati Uniti, con lo scopo di non favorire l'acuirsi di ulteriori tensioni, decisero di appoggiare l'asse franco - tedesco, ribadendo al contempo l'importanza della NATO. Oltre al delineamento delle varie posizioni dei partners europei, si rendeva sempre più palese la forza dell'asse franco - tedesco a discapito dell'Italia e della Gran Bretagna. Quest'ultima, si allontanava sempre di più, allorché decise di avere una opting - out, cioè una clausola nell'ambito dell'Unione monetaria che le avrebbe permesso di uscire dalla stesso sistema della moneta unica. Emergeva, invece, una Spagna che con Felipe Gonzalez riuscì ad ottenere la creazione di un Fondo di coesione, incaricato di sostenere e di aiutare i paesi della Comunità con più problemi economici: la stessa Spagna, Portogallo e Irlanda. L'Italia non rientrava nel novero dei paesi "poveri" a causa del fatto che doveva avere un PNL inferiore al 90% della media della Comunità stessa. I dati italiani ai quali la Comunità si era riferita erano quelli del 1986, un momento particolare che oramai non rispecchiava la situazione economica italiana di allora, aggravvato sempre di più dal problema del Meridione. Nel frattempo, il processo del completamento del Mercato unico aveva avuto luogo e gran parte dei punti del Libro bianco di Delors erano stati rispettati. Uno dei punti più importanti che fu realizzato riguardava la liberalizzazione dei capitali e la completa circolazione delle merci, dei capitali e dei servizi, mentre rimaneva ancora incompleta la questione della completa circolazione delle persone. Difatti la questione fu affrontata e risolta con il Trattato di Schengen tra Francia, Germania, Italia, Benelux, Spagna, Portogallo e Grecia. Tale trattato entrava in vigore dal 1° gennaio 1993. Il risultato positivo del Mercato unico e l'avanzamento del processo relativo all'Unione monetaria, gettavano nuove speranze al Consiglio europeo che si sarebbe tenuto a dicembre, a Maastricht ove si sarebbe deciso il nuovo assetto istituzionale della Comunità europea.

Tre pilastri, cinque parametri per la moneta unica

Gli accordi riguardo il Trattato sull'Unione europea si raggiunsero l'11 dicembre 1991 a Maastricht. Il 7 febbraio 1992, nella stessa città, i ministri degli Esteri e delle Finanze si riunirono ancora una volta per firmare il TUE (Trattato dell'Unione Europea) che sarebbe entrati in vigore a partire dal 1° gennaio 1993. Esso era costituito da 252 articoli, 17 protocolli e 31 dichiarazioni, articolato nei seguenti titoli:

- Titolo I: disposizioni comuni (recanti gli obiettivi dell'Unione); - Titolo II, Titolo III, Titolo IV: disposizioni che modificano rispettivamente, il trattato Ce, Ceca e Euratom; - Titolo V: disposizioni sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC); - Titolo VI: disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (già cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni: GAI); - Titolo VII: disposizioni su una cooperazione rafforzata; -Titolo VIII: disposizioni finale (e comuni);

Il TUE diede vita all'Unione Europea che era una forma di integrazione e cooperazione tra gli Stati membri, per organizzare "in modo coerente e solidale" le relazioni tra gli Stati stessi e "tra i loro popoli", nei settori di competenza delle Comunità europee (Ceca, Cee, Ceca) e, in aggiunta, nel settore della politica estera, di sicurezza e difesa, nonché in quello di attività di polizia e giudiziaria in materia penale (art. 1. co. 3. TUE). L'UE era fondata "sulle Comunità europee, integrate dalle Politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato" [TUE, art.1. co.3). In tal modo, si poteva immaginare l'UE come un tempio greco: il frontone era costituito dall'UE stessa, che si poggiava su tre pilastri: il primo pilastro era composto dai trattati della CEE, della CECA e dall'EURATOM ed era disciplinato dal metodo comunitario. Il secondo pilastro riguardava la politica estera e di sicurezza comune (PESC) ed era disciplinato dal metodo intergovernativo e infine il terzo pilastro comprendeva la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, basata sul metodo intergovernativo. Alla base, la quale sorreggeva i tre pilastri e il tetto, vi erano le Disposizioni Comuni (Artt. 1-7 e 46-53 TUE). Il metodo comunitario definiva il complesso delle istituzioni e attività (competenze, procedure e tipologie, di atti normativi e decisionali) disciplinate dal Trattato istitutivo della Comunità Europea, tutte posto sotto il controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia, in virtù delle quali si realizzava una forma di integrazione a carattere sovra - nazionale ("federale") tra gli Stati membri. Per quanto riguardava il metodo inter - governativo, esso definiva lo stesso insieme del metodo comunitario, ma le competenze, le procedure e le attività non erano sotto il controllo della Corte di Giustizia, ma piuttosto erano regolate mediante una cooperazione a livello internazionale tra gli Stati membri. Gli obiettivi della UE erano cinque, disciplinati all'art.2:

1) promuovere un progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione e pervenire a uno sviluppo equilibrato e sostenibile, in particolare mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, cioé del "mercato interno" (già mercato comune), il rafforzamento della coesione economica e sociale e l'instaurazione di un'unione economica e monetaria (moneta unica, ed "eurosistema") [I pilastro];

2) affermare la sua identità sulla scena internazionale, in particolare mediante l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune [II pilastro];

3) rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l'istituzione di una cittadinanza dell'Unione;

4) sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne in controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima [III pilastro];

5) mantenere integralmente l'acquis comunitario e svilupparlo al fine di valutare in quale misura si renda necessario rivedere le politiche e le forme di cooperazione allo scopo di garantire l'efficacia dei meccanismi e delle istituzioni comunitarie

Il Mercato Unico (già realizzato) e l'Unione economcia e monetaria (UEM) trovavano disciplina nel TUE. Per quanto concerneva l'UEM, essa era completamente definita in tre fasi: liberalizzazione dei capitali, creazione di un Istituto monetario europeo (IME) ed infine la fissazione dei tassi di cambio definitivi. Per arrivare alla terza fase, ogni stato membro doveva attenersi ai cinque parametri definiti agli artt. 104C e 109J:

1) rispetto dei limiti di fluttuazione dello SME almeno per due anni all'interno della banda stretta, quella di +- 2,25%, senza che intervenga nel frattempo alcuna svalutazione della moneta nazionale;

2) tasso di inflazione non superiore all'1,5% in più della media dei tre Stati con l'inflazione più bassa;

3) deficit di bilancio inferiore al 3% del Prodotto interno lordo;

4) debito pubblico inferiore al 60% del PIL;

5) tasso di interesse a lungo non superiore al 2% in più rispetto a quello dei tre paesi con il più basso interesse di inflazione;

Il rispetto per i criteri monetari era rigido mentre per quelli finanziari relativi al deficit di bilancio e al debito pubblico era più elastico. Oltre a ciò, il TUE riconosceva il Fondo di coesione voluto da Gonzalez, che sarebbe entrato in vigore nel 1993 mentre per gli altri fondi, la FEOGA, Fondo sociale e Fondo regionale, era prevista una riforma nel 1993. Inoltre, per quanto riguardava il sistema di voto, molte materie furono disciplinate con la maggioranza qualificata mentre rimanevano ancora delle materie regolate con l'unanimità. Inoltre l'UE inglobava a sé nuove politiche: quella di ricerca e di sviluppo tecnologico, dell'ambientale, sociale, dell'industria, del commercio estero, dei trasporti e delle comunicazioni, dell'educazione, della cultura, della sanità e della protezione dei consumatori. Per quanto concerneva le competenze dell'UE, esse si divedevano in competenze esclusive e competenze concorrenti. Il principio della sussidiarietà era utilizzato in entrambi i settori. Nei settori con competenze esclusive, spettava alla Comunità intervenire, fissando le regole comuni, mentre agli altri Stati membri spettava la responsabilità di darvi esecuzione e di adottare le corrispondenti misure (se del caso più ampie di quelle comunitarie). In tali settori l'azione degli Stati era 'sussidiaria' nel senso (ampio) che completava e perfezionava, recependola e sviluppandola in ambito locale, regionale, nazionale, l'azione della Comunità. Nei settori con competenza concorrenti, spettava agli Stati la responsabilità di intervenire, mentre alla Comunità spettava di promuovere azioni di sostegno, incoraggiamento, indirizzo delle politiche e azioni nazionali (regionali e locali). In tali settori l'azione della Comunità era sussidiaria nel senso (stretto) che si sostituisce a quella degli Stati, alle condizioni previste:

- gli obiettivi non potevano essere realizzati in maniera sufficiente a livello di Stati; - l'azione in questione presentava dimensioni ed era destinata a produrre effetti tali che i suoi obiettivi possono essere meglio realizzati a livello comunitario.

Il principio di sussidiarietà che era complementare a quello di attribuzione e a quello di proporzionalità, era stato introdotto con lo scopo di bilanciare le nuove materie dell'UE a competenza concorrente. In tal modo, soltanto se gli stati non avessero raggiunto gli obiettivi, allora la Comunità sarebbe intervenuta per farli rispettare. Il principio di sussidiarietà era stato voluto dal premier britannico Major, il quale voleva controbilanciare i poteri dell'UE, ribadendo la sovranazionalità degli Stati, incontrando il disaccordo francese, tedesco e italiano.

PESC e affari interni

Per quanto riguarda la PESC, il Titolo V disponeva i seguenti obiettivi che essa doveva rispettare:

1) difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell'indipendenza dell'Unione;

2) rafforzamento della sicurezza dell'Unione e dei suoi stati membri;

3) mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite nonché ai principi dell'Atto finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi;

4) promozione della cooperazione internazionale;

5) sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

Al Consiglio europeo spettava di perseguire gli obiettivi della politica estera e sicurezza, comprese le questioni in materia di difesa (art. 13 co. 1, TUE); nonché decideva "strategie comuni" nei "settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi in comune" (art. 13 co.2 TUE). L'attuazione della politica estera e di sicurezza in base agli orientamenti generali così definiti era demandata al Consiglio che vi provvedeva adottando "azioni comuni" e "posizioni comuni" (artt. 14-15, TUE). Le azioni comuni erano quelle che affrontavano specifiche situazioni in cui si riteneva necessario un intervento operativo dell'Unione; tali atti vincolavano gli Stati membri nelle loro prese di posizione e nella conduzione della loro azione. Le posizioni comuni erano quelle che definivano l'approccio dell'Unione su una questione particolare di natura geografica o tematica; impegnavano gli Stati membri a provvedere affinché le loro politiche nazionali fossero conformi alle posizioni comuni. La Presidenza di turno dell'Unione era l'organo che rappresentava all'esterno l'Unione per le materie di politica estera e di sicurezza ed era responsabile della attuazione delle decisioni adottate in tale settore; esprimeva, in linea di principio, la posizione dell'Unione nelle organizzazioni e nelle sedi internazionali (art.18, co.1-2). La Presidenza era assistita dal Segretario Generale del Consiglio che esercitava la funzione di Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (Mister PESC), ed affiancata dalla Commissione (la quale, si diceva, è "pienamente associata" ai compiti della Presidenza). Infine, per ciò che concerneva il tema della sicurezza, era fatto riferimento all'UEO che era considerato una sorta di braccio armato dell'UE. Per quanto riguardava il terzo pilastro o meglio la cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale, l'Unione si poneva l'obiettivo della creazione, a favore dei cittadini, di uno "spazio di libertà, sicurezza e giustizia", da realizzarsi mediante un'azione comune degli Stati membri nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, con l'obiettivo della prevenzione e repressione nei seguenti campi (art. 29, TUE): razzismo, xenofobia, criminalità organizzata o di altro tipo, terrorismo, tratta degli esseri umani, reati contro i minori, traffico illecito di droga e di armi, corruzione e frode. Per il perseguimento di tale obiettivo si prevedeva:

- una cooperazione tra forze di polizia e le altre autorità competenti, sia direttamente, sia per il tramite dell'Ufficio europeo di polizia (Europol) (art. 30, TUE); - una cooperazione tra autorità giudiziarie (art. 31, TUE); - il ravvicinamento delle normative in materia penale;

Spettava al Consiglio di adottare e provvedere in materia per il conseguimento degli obiettivi. A riguardo, il TUE sanciva una nuova cittadinanza, quella europea. Essa si aggiungeva a quella nazionale, per cui un cittadino italiano era allo stesso tempo un cittadino europeo. La cittadinanza comportava diritti e doveri: il diritto al voto alle elezioni amministrative per ogni cittadino dell'Unione residente in un Paese diverso da quello di origine, la protezione diplomatica per ogni cittadino dell'Unione garantita in Paesi terzi da parte degli organi diplomatici e consolari di un qualsiasi Paese membro dell'Unione e infine il diritto di petizione davanti al Parlamento europeo.

Come funziona la macchina comunitaria

Il TUE non stabilisce una chiara divisione dei poteri, ma disciplina dei metodi di codecisione e cooperazione in cui i vari organi si ritrovano ad avere potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Il sistema si articolava sui seguenti organi (*):

- il Consiglio europeo, creato nel 1974, almeno due volte l'anno riunisce i capi di Stato e di governo; insieme al presidente della Commissione europea, è il più alto organo decisionale e fissa le linee generali della politica dell'Unione;

- il Consiglio dell'Unione europea, costituito da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello di ministri e la cui composizione cambia a seconda degli argomenti da affrontare; così la politica agricola richiede la partecipazione al Consiglio dell'Unione dei ministri dell'Agricoltura degli Stati mèmbri; i problemi dell'ordine pubblico, quella dei ministri degli Interni; il Consiglio agisce nei limiti e nelle materie indicate dal Consiglio europeo ed è assistito da un comitato di rappresentanti permanenti, il COREPER, che comprende per ciascuno Stato un capo missione con rango di ambasciatore, coadiuvato da uno staff di specialisti nelle principali questioni della politica comunitaria;

- la Commissione è l'elemento trainante dell'Unione, un vero e proprio governo, il cui campo d'azione è tuttavia limitato dai Trattati e dalle scelte del Consiglio dell'Unione europea;

- il Parlamento, dal 1979 eletto a suffragio universale, composto da 626 mèmbri in rappresentanza delle 15 nazioni facenti parte dell'Unione (al 1997), detiene una limitata capacità legislativa ma svolge una importante funzione di controllo;

- la Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto comunitario così come è fissato dai Trattati; è composta da 15 giudici nominati per sei anni assistiti da nove avvocati generali; la Corte è competente a verificare l'osservanza del diritto e delle disposizioni comunitarie da parte degli Stati mèmbri, commina multe alle nazioni inadempienti e dà l'interpretazione autentica delle norme comunitarie; nel 1989 le è stato affiancato un tribunale di primo grado competente a giudicare i ricorsi presentati dai privati e dalle imprese; i giudizi della Corte sono una delle principali fonti del (diritto comunitario;

   - la Corte dei Conti europea, composta da 15 membri nominati per sei anni, controlla la legittimità e la regolarità delle entrate e delle spese e la loro conformità con il bilancio;

- il Comitato economico e sociale e il Comitato consultivo CECA sono ambedue organismi esclusivamente tecnici; il primo conta 222 membri in rappresentanza delle varie categorie economiche (artigiani, agricoltori, datori di lavoro ecc.), ha competenza sui problemi che riguardano il lavoro, l'occupazione, l'assistenza sociale, viene consultato ma può anche formulare pareri e avanzare proposte; il secondo è un organo di 108 mèmbri e si occupa esclusivamente delle questioni legate alla produzione e commercializzazione del carbone e dell'acciaio;

- il Comitato delle regioni è l'organo di più recente costituzione; creato dal Trattato sull'Unione europea, è composto da 222 mèmbri e costituisce il legame tra l'Unione e gli enti locali e regionali e ne rappresenta gli interessi; deve essere consultato dalla Commissione e dal Consiglio su una serie di questioni che rientrano generalmente nella giurisdizione delle regioni e degli altri enti locali, e cioè: istruzione, cultura, politiche della gioventù, trasporti, telecomunicazioni ed energia;

- la Banca europea degli investimenti (BEI), creata nel 1958 dal Trattato di Roma, cura gli investimenti nei settori di interesse comunitario, come i trasporti, le comunicazioni e più in generale le infrastrutture;

- l'istituto monetario europeo, nato nel gennaio 1994, è destinato a trasformarsi nella banca centrale dell'Unione e nell'istituto di emissione della moneta comune; come tale, diventerà uno degli organi motori in materia finanziaria ed economica dopo il 1999, quando entrerà in circolazione l'Euro; i suoi poteri e il suo ruolo dipenderanno in larga misura dagli statuti in via di elaborazione, ma è possibile prevedere che sarà dotato di ampia autonomia rispetto ai governi e, se prevarranno le considerazioni di ordine monetario su quelle politiche, è destinato a diventare il supremo arbitro della politica economica e finanziaria dell'Unione.

(*) : Tratto dalle pagine 242 - 244 del libro G. Mammarella e P. Cacace, Storia dell'Unione europea, editori Laterza 2001

I quattri organi principali

I quattro organi principali dell'UE sono la Commissione, il Parlamento europeo, il Consiglio (dei ministri) e il Consiglio europeo. (**) Il Parlamento europeo, composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri, eletti ogni cinque anni a suffragio universale e diretto, esercita poteri attribuitegli dal Trattato e partecipa al processo normativo per l'adozione degli atti comunitari, che sono regolamenti, direttive, raccomandazioni e pareri. I regolamento costituiscono l'espressione principale della legislazione comunitaria, si applicano direttamente agli Stati, alle istituzioni e agli individui di ciascun membro dell'Unione; la loro inosservanza da parte degli Stati membri dà luogo a severe sanzioni, sotto forma di multe, comminate dalla Corte di giustizia. Le decisioni hanno la stessa validità giuridica dei regolamenti ma mancano del requisito della generalità e si applicano esclusivamente a singoli Stati membri. Le direttive sono obbligatorie in rapporto alle indicazioni degli obiettivi da raggiugere ma lasciano agli Stati membri piena discrezionalità sui modi (ma non sui tempi) per realizzarli. Infile, le raccomandazioni e i pareri sono indicazioni orientative dei programmi e dei fini dell'Unione, ma non hanno carattere vincolante. Il Parlamento esercita poteri di indirizzo politicoe di controllo e formula pareri di cui il Consiglio dei Ministri deve tenere conto (procedura di codecisione), in qualche caso obbligatoriamente (parere conforme in materia di nuovi adesioni e di procedura elettorale uniforme). Il Parlamento europeo ha inoltre il ptoere di approvare o di respingere il bilancio comunitario. Qualsiasi cittadino ha il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo di norma si riunisce mensilmente per una settimana di lavori in assemblea plenaria (a Strasburgo), mentre per un'altra settimana si riuniscono le venti Commissioni parlamentari e in quella successiva i gruppi parlamentari. Al Parlamento europeo è riconosciuto il diritto membri, può chiedere alla Commissione - cui spetta normalmente il diritto di iniziativa - di presentare adeguate proposte sulle questioni per le quali esso ritenga necessaria l'elaborazione di un atto della Comunità, secondo le finalità istitutizionali previste dal Trattato. Il Parlamento europeo elegge un Presidente e un ufficio di presidenza per la durata di metà del suo mandato e nomina, per l'intera legislatura, un Mediatore, figura di nuova istituzione prevista dal Trattato di Maastricht, abilitato a ricevere le denunce di qualsiasi cittadino europeo o di qualsiasi persona fisica o giuridica residente nel territorio dell'Unione, che riguardino casi di cattiva amministrazione nelle decisioni delle istituzioni o degli organi comunitari, salvo la Corte di Giustizia e il Tribunale di primo grado. Il Consiglio dei ministri, il cui Segretariato generale ha sede a Bruxelles (costituito da un rappresentante per ciascuno stato membro, scelto fra i ministri nazionali a seconda dei problemi all'ordine del giorno e presieduto da ciascuno dei governi degli Stati membri per un periodo di sei mesi con rotazione in ordine alfabetico) provvede al coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, disponedi un potere di decisione, gestisce l'attività legislativa della Comunità, conferisce alla Commissione le competenze di esecuzione delle norme che esso stabilisce. Con il Trattato di Maastricht è stato ulteriormente esteso il campo delle decisioni che il Consiglio può prendere a maggioranza qualificata secondo il sistema della ponderazione dei voti; continua a prendere all'unanimità decisioni che riguardano questione di importanza vitale per la Comunità e per gli Stati membri, quali l'adesione di un nuovo Stato, la modifica dei Trattati o l'organizzazione di una nuova politica comune. Per la preparazione dei lavori o per l'esecuzione dei mandati attribuitigli, il Consiglio è assistito dal Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) degli Stati membri e da gruppi di lavoro composti da funzionari dei ministeri nazionali, distaccati dagli organici delle delegazioni nazionali operanti a Bruxelles presso la Comunità. La Commissione, con sede a Bruxelles, è l'organo esecutivo della Comunità. Essa è attualmente composta da un Presidente, da un vicepresidente e da diciotto commissari (due per gli Stati più grandi e uno ciascuno per quelli minori, per un numero totale di venti membri). proposti dagli Stati e scelti dal Consiglio dei Ministri, su approvazione da parte del Parlamento europeo, in base alle loro competenze generali, ma indipendenti rispetto allo Stato di cui sono cittadini, con un mandato (rinnovabile) di cinque anni. Ciascun membro della Commissione è a capo di una Direzione generale competente in ordine a un settore specifico e auna particolare categoria di problemi. La Commissione, al fine di assicurare il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune, vigila sull'applicazione delle disposizioni dei Trattati e delle decisioni adottate dalle istituzioni, formula raccomandazioni o pareri, dispone di un proprio potere decisionale e partecipa, con la propria iniziativa di proposta, alla formazione degli atti comunitari secondo la procedura all'uopo prevista, esercita le competenze conferitole dal Consiglio dei Minsitri e pubblica ogni anno una relazione generale sull'attività della Comunità. Il Consiglio dei Ministri e della Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale (CES) con funzioni consultive, formato da 222 membri rappresentanti delle diverse categorie del mondo economico e sociale. Per un gran numero di decisioni la consultazione del CES è obbligatoria, ma esso ha anche la facoltà di emettere pareri di propria iniziativa. Il Consiglio e la Commissione devono inoltre consultare, in alcuni casi, il Comitato delle regioni, un organismo appositamente creato dal Trattato di Maastricht, anch'esso costituito da 222 membri, rappresentanti delle collettività regionali e locali, nominati dal Consiglio su proposta degli Stati membri per quattro anni, in modo da sollecitare decisioni il più vicino possibile agli interessi dei cittadini confofermente al principio di sussidiarietà, rappresentando la multiforme realtà degli Stati membri nelle loro articolazioni substatali.

(**) Gian Piero Orsello, L'Unione Europea, Tascabili Economici Newton 1996

(*) Il Consiglio europeo possiede una capacità di stimolo e dà orientamento generale. Nato dalle conferenze dei capi di Stato e di governo è rimasto per anni fuori dalla struttura istituzionale della Comunità. Ne entrava a far parte nel 1987, con l'Atto Unico europeo, confermando il suo ruolo di organo di appello e di ultima istanza. Tutte le volte che il Consiglio dei Ministri sia impossibilitato a decidere e, in più in generale, quando l'Unione si trovi in una situazione di crisi, il Consiglio euroeo, grazie all'autorità dei suoi membri, è l'organo più adatto a intervenire per sbloccare lo stallo, senza aver sottratto autorità e poteri agli altri organi. Il Consiglio, insomma, si è confermato vertice politico e strategico dell'Unione.

(*) G. Mammarella e P. Cacace, Storia e politica dell'Unione europea, Editori Laterza 2001

Il Trattato e i suoi oppositori

In seguito al Trattato di Maastricht, i leader europei si ritennero soddisfatti per essere riusciti a guadagnare qualche cosa. La soddisfazione, tuttavia, si scontrò con un'opinione pubblica che era minimamente coinvolta nella causa europeista. Oltre a ciò, anche la voce della banca nazionale tedesca (Bundesbank) si faceva sentire, preoccupandosi della probabile inosservanza dei parametri di Maastricht da parte dei paesi più deboli. L'elezione del Parlamento europeo, nel 1994, lasciava trasparire un chiaro segno di disinteresse dell'elettorato passivo per la causa europeista. Tuttavia, nel 1992, l'europessimismo, cominciò a riprendersi a dispetto del breve momento di gloria all'indomani del Trattato di Maastricht, e s'intrecciò con la sfavorevole e precaria situazione economica internazionale. La "tempesta" monetaria alimentata dal dollaro sempre più debole e dall'enorme spesa che dovette sostenere la Germania per l'unificazione, si riflesse direttamente ed in modo negativo sull'economica italiana ed inglese. Difatti, i due fattori che scatenarono la tempesta monetaria, stimolarono di conseguenza un'ondata di speculazione che si riversò contro le monete più deboli dello SME: la lira e la sterlina. Per questo motivo, quando la speculazione divenne insostenibile, l'Italia e la Gran Bretagna lasciarono il SME. La mancata solidarietà economica e politica e l'assenza di iniziative tese ad aiutare i paesi in difficoltà, contribuì ad allontanare la Gran Bretagna sempre di più dall'UE, nonostante un consiglio dei ministri abbia voluto allargare la banda di oscillazione delle monete sino al ±15%. L'insuccesso di quest'ultima mossa decretava la fine dello stesso SME. La Gran Bretagna, dal canto suo, proseguì la ricrescita economica del paese, avvalendosi delle basi e delle iniziative intraprese dalla Thatcher. Nel 1997, fu eletto il laburista Tony Blair nuovo premier e si sperò in una svolta della Gran Bretagna nei confronti dell'UE. Per quanto concerneva l'Italia, la forte svalutazione della lira aveva conseguenze positive nell'esportazioni dei prodotti italiani e ciò metteva in difficoltà la Francia che a malapena riusciva a gestire la concorrenza dei prodotti nostrani. L'Italia, a partire dall'uscita dello SME, decise di dare prova della sua voglia di ridurre il deficit e il debito nazionale e di adattare la propria economia secondo i parametri stabiliti a Maastricht. Nonostante gli sforzi dei governi Amato, Ciampi e Dini, ed infine Prodi, con il risultato di una riduzione complessiva del deficit di bilancio dal 10-11% nel 1992 al 3,2% nel 1997, l'UE continuò a considerare l'Italia un paese con una situazione economica problematica, a causa di un debito troppo alto, della spesa pubblica elevata e del contributo pensionistico oltre le medie degli altri paesi (17% del PIL rispetto al 12% di Francia e Germania).

L'uscita di scena di Delors

Per l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht e per assicurarne un pieno sviluppo, si programmò un secondo pacchetto Delors, che fu presentato in occasione del Consiglio europeo a Copenhagen tra l'11 e il 12 dicembre 1992, con il titolo di "Crescita, competitività e occupazioni: le sfide da percorrere per entrare nel XXI secolo". Il pacchetto Delors, nel suo complesso, invitava gli Stati membri ad assumere maggiori responsabilità e prevedeva un finanziamento maggiore all'UE, la creazione di nuovi posti di lavoro e altri progetti di natura concreta, come lo sviluppo della rete urbana e dei trasporti. Il pacchetto Delors richiedeva una spesa ingente per la sua realizzazione e ciò fu il motivo principale del suo fallimento. Alla caduta del pacchetto Delors, seguì qualche anno dopo, nel luglio del 1994, l'uscita dello stesso Delors dalla Commissione, lasciando l'incarico al lussemburghese Jacques Santer. Due anni prima, il Consiglio d'Edimburgo riprese la questione finanziaria dell'UE. Nell'occasione, tra l'11 e il 12 dicembre 1992, si decise di diminuire i contributi alla PAC, per destinare ciò che era risparmiato alle risorse dell'Unione. I dibattiti che continuarono sino al 1995 riguardarono altre alla questione monetaria anche quella dell'allargamento dell'Unione. Per affrontare meglio tale argomento, il 2 maggio 1992, ad Oporto, si era firmato l'accordo che dava vita alla SEE (Spazio Economico Europeo), firmato tra i dodici paesi dell'Unione e tra quelli dell'EFTA: Austria, Finlandia, Islanda, Liechstein, Norvegia, Svezia e Svizzera. La SEE comprendeva la libera circolazione delle persone, dei capitali e dei servizi; la SEE entrò in vigore il 1° gennaio 1993, dalla quale, tuttavia, la Svizzera decise di defezionare. La SEE poneva le basi per l'Austria, la Norvegia, la Svezia e la Finlandia alla futura adesione all'UE. Un altro passo importante fu compiuto in direzione dell'armonizzazione del commercio internazionale e degli scambi commerciali, nell'occasione dell'Uruguay Round, durante la quale, fu deciso l'abbassamento di molte tariffe doganali, in particolare per i prodotti industriali e maggiori agevolazioni per un libero scambio commerciale.

Nuovi membri dell'Unione

Le trattative per l'adesione dei nuovi paesi finirono nel 1994. Il 1° gennaio del 1995 l'UE si allargava a quindici paesi, con l'entrata dalla Svezia, della Finlandia e dell'Austria. Ma il tema dell'allargamento era destinato a diventare uno delle principali questioni. Difatti, altri paesi avanzarono la candidatura: Turchia, Cipro, Malta, Polonia, Ungheria, Svizzera, Repubblica Ceca, Albania, Slovenia, Croazia, Macedonia, Ucraina, ecc... Con il crollo del Muro di Berlino e dell'URSS, molti dei paesi ex socialisti desiderarono entrare a far parte dell'UE. Tuttavia, sia per l'aspetto economico e finanziario, sia per quello di natura politica e culturale, le differenze profonde  creavano nuovi vincoli, a tal punto che si diede vita al PHARE e poi al PECO, programmi lanciati con lo scopo di fornire un'assistenza tecnica ai paesi dell'Europa orientale, per avvicinare la loro struttura economica a quella dei paesi capitalisti. La possibile entrata di questi paesi poneva una serie d'interrogativi che toccavano in primo luogo il Fondo di coesione, poiché l'entrata dei paesi più "poveri", avrebbe diminuito la media dei PIL dell'UE e dunque i paesi che prima beneficiavano del Fondo divenivano relativamente più ricchi e non avrebbero più fatto parte del Fondo stesso. Il dibattito sull'allargamento produsse varie ipotesi: la prima concepiva l'Europa a varie velocità, dove ogni paese avrebbe perseguito un obiettivo comune secondo le sue capacità. Tuttavia, tale ipotesi "trascurava" il fatto che molti paesi "poveri" rischiavano di rimanere indietro, provocando una notevole frattura in seno all'UE. La seconda ipotesi, diversamente, fu quella dell'Europe à la carte, nella quale ogni Stato era libero di scegliere di aderire o meno ai programmi d'integrazione dell'UE, con la clausola dell'opting - out. La terza ipotesi, detta a "geometria variabile", concepiva la possibilità di creare un sostrato base per tutti i paesi e la possibilità di scegliere di intraprendere o meno iniziative collaterali all'UE. In questo senso si tracciava il progetto di un'Europa flessibile, ove era possibile la costituzione di un centro, di un nocciolo duro (kernel), che avrebbe potuto avviare politiche più avanzate. Tale ipotesi fu studiata da Wolfgang Schauble e Karl Lamers in un documento che conteneva cinque priorità:

1) ulteriore sviluppo costituzionale dell'Unione secondo il modello federalista, ma con una chiara ripartizione delle competenze tra organi federali nazionali e regionali, conformemente al principio di sussidiarietà;

2) riconoscimento di un nocciolo duro composto da Francia, Germania e Benelux, ma aperto ad altre eventuali partecipazioni;

3) rafforzamento dei rapporti tra Francia e Germania, al fine di costringere quest'ultima a una politica orientata verso l'Occidente contro la tentazione di un nuovo Sonderweg a Est;

4) rafforzamento di una politica estera comune con la creazione di una cellula di pianificazione;

5) apertura ai Paesi dell'Est europeo, sempre allo scopo di neutralizzare una spinta mitteleuropea della sola Germania;

La quarta ipotesi, avanzata da Edouard Balladur, futuro presidente del Consiglio francese, tracciava l'Europa secondo uno schema di cerchi concentrici. Nel primo cerchio vi erano gli stati del nocciolo dell'Europa a geometria variabile, seguito da altri cerchi con gli altri paesi.

La politica estera comune non decolla

Con il Trattato di Maastricht, la politica estera era istituzionalizzata nel secondo pilastro, quello relativo alla PESC. In precedenza, un timido collegamento alla politica estera era stato contenuto nell'Atto Unico del 1986. La questione della difesa interessava in primo luogo anche l'UEO, la quale era diventata, dietro la volontà e gli interessi franco - tedeschi, il braccio armato dell'UE. Tuttavia, la questione s'intrecciava con quella della NATO e più in particolare si annodava intorno al rapporto UE - NATO. Quest'ultima, sotto il volere degli Stati Uniti, si era estesa a proteggere i paesi ex socialisti, suscitando dei fastidi alla Russia di Eltsin, la quale non desiderava confinare con dei paesi sotto la protezione statunitense. Allo stesso tempo, per quanto concerneva l'UEO, gli Stati membri avevano avviato delle iniziative, tra le quali si annoverano l'Eurocorp, costituito nel 1995, composto da un'unità franco - tedesca di 50000 uomini. All'Eurocorp si aggiungevano altri corpi d'armata: Euroforce ed Euromarforce, che comprendevano un complesso d'unità terrestri e marittime spagnole, francesi, italiane e portoghesi. Oltre a ciò, si sviluppò l'industria bellica europea, con contratti e accordi speciali tra i partner europei che coinvolgevano la Francia e la Germania in primis, in nuovi progetti di carri armati, aerei ed elicotteri. Tuttavia, la politica di difesa e quella estera registrarono dei fallimenti significativi; primo fra tutti è quello relativo alla questione del Kosovo, nella quale i paesi europei non hanno agito unitariamente, ma anzi, l'intervento ha assunto un carattere extra - europeo, coinvolgendo gli Stati Uniti. Il fallimento di una politica estera comune avvenne in occasione della crisi in Ruanda nel 1994, che interessava in primo luogo la Francia e il Belgio. Nonostante un primo intervento francese, quando la crisi riprese il sopravvento, gli Stati Uniti si rifiutarono di intervenire, poiché ritenevano che la questione dovesse essere risolta dagli europei, i quali, tuttavia, si limitarono ad inviare aiuti umanitari. Un altro fallimento della PESC si consumò durante la crisi albanese, nella quale, né la Gran Bretagna né la Germania vollero intervenire, lasciando all'Italia e ad altri paesi affrontare la grave situazione. Tutto ciò concorreva a mettere in crisi la PESC, allorché anche diversi allineamenti internazionali si stabilivano all'interno dell'UE, senza che gli Stati membri assumessero posizioni comuni (art. J.2).

Da Torino ad Amsterdam

Nel Consiglio europeo di Madrid che si tenne tra il 15 e il 16 dicembre 1995, si proseguì il lavoro delle Conferenze intergovernative sull'unione monetaria. Al Consiglio fu battezzata la nuova moneta con il nome di Euro e si stabilivano i termini di tempo della terza fase dell'UEM, che sarebbe cominciata il 1° gennaio 1999. Al contempo erano decise le tre fasi per l'entrata in circolazione dell'EURO: per il 1° gennaio 1999 sarebbe stato adottato nelle transazioni finanziarie, il 1° gennaio 2002, sarebbe entrato in circolazione assieme alle rispettive monete nazionali e il 1° luglio 2002 avrebbe sostituito completamente le monete nazionali degli Stati membri. Per quanto concerneva la questione istituzionale politica, fu avviata una Conferenza intergovernativa  che prima si tenne a Torino nel 1996 (29 marzo) e poi a Firenze (21 - 22 giugno) nelle quali tre linee prevalsero:

1) avvicinare di più l'Unione europea ai cittadini; 2) rafforzare e allargare il campo di azione della politica estera e della sicurezza comune; 3) assicurare il buon funzionamento delle istituzioni comunitarie rispettandone l'equilibrio e rafforzando l'efficienza del processo decisionale;

L'iter alla moneta unica fu caratterizzato ulteriormente dal vertice di Dublino (13 - 14 dicembre 1996) nel quale fu stretto, tra gli Stati membri, un Patto di Stabilità che si definiva come un patto di garanzia per i paesi più forti economicamente che prendevano parte alla moneta unica. Tale patto implicava per coloro meno forti un maggior rispetto ai criteri finanziari e delle sanzioni nel momento in cui non avrebbero rispettato le condizioni imposte. In contrasto a questo patto, vi fu, in seguito, la Francia del comunista Jospin il quale preferiva che le condizioni finanziarie di Maastricht fossero più leggere e meno rigorose, concentrandosi invece sulla politica dell'occupazione. Al vertice di Amsterdam (15 - 16 giugno 1997) pochi furono i risultati concreti in materia di politica estera e di giustizia. Anzi, gli unici risultati positivi furono la riconferma del Trattato di Schengen e l'inserimento di un nuovo titolo (Titolo VIII) dedicato all'occupazione, con l'approvazione della Carta sociale che otteneva il consenso della Gran Bretagna di Blair. Altre tematiche erano rinviate di cinque anni, come quella di uno spazio comune di libertà, giustizia e sicurezza, nonché l'assorbimento dell'UEO nell'UE, e la decisione di porre all'unanimità molte materie che invece erano a maggioranza qualificata. Il Trattato di Amsterdam fu firmato il 2 ottobre 1997 e aveva visto scontrarsi i vari paesi europei: da una parte Kohl, che fu uno tra i promotori del Patto di Stabilità e che voleva attenersi rigidamente alle regole di Maastrich per arrivare alla moneta unica e dall'altra, Jospin, alleato con Blair, che puntava molto alla occupazione come tema da affrontarsi insieme alle condizioni di Maastricht.


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