Gabriele D'Annunzio attraversa un particolare momento storico, nel quale
egli sicuramente lascerà il proprio segno, precorrendo atteggiamenti e culture
che si affermeranno soltanto successivamente. D'Annunzio vive il tentativo
delle forze conservatrici italiane di risolvere in senso autoritario le
tensioni politiche e sociali della fine del '800. Alla proposta di un pacchetto
di provvedimenti da parte del generale piemontese Luigi Pelloux, che limitavano
gravemente il diritto di sciopero e le stesse libertà di stampa e di associazione,
D'Annunzio, già deputato, decide di schierarsi con la Sinistra appoggiando
le proteste dei socialisti, dei repubblicani e dei radicali. Ma ben presto,
la scontentezza dell'Italia borghese, il cruccio dell'avventura africana
(la sconfitta di Adua del 1896), il fastidio della mediocrità democratica
e della burocrazia parlamentare, fecero crescere in lui un'accesa e stravagante
ideologia nazionalista che lo allontanò dalle istanze socialiste e democratiche.
D'Annunzio non coltivò soltanto l'ideologia nazionalista ma cercò, nel contempo,
di rispondere alla crisi del Decadentismo e dei valori postrisorgimentali
(che ponevano in crisi anche la posizione dell'intellettuale), introducendo
nuovi atteggiamenti e nuovi miti (la bellezza, il
superuomo, l'esteta) rivolti a un pubblico particolare che poteva
assorbirne meglio i concetti, come quello dell'alta borghesia. Celebrò infatti
l'impresa libica del 1911, in un clima di nazionalismo che aveva investito
gran parte del popolo italiano, alimentato dalle teorie di Corradini sul
concetto di lotta esteso alle nazione e non più legato alle classi sociali
(da ricordare la creazione della Associazione Nazionalista Italiana). La
politica coloniale, sotto la guida di Giolitti, sfociò nel conflitto contro
il governo Ottomano, che a quell'epoca controllava il territorio libico,
una zona che avrebbe potuto presentare una fonte di guadagno per l'Italia
e che avrebbe potuto assorbire buona parte del problema dell'emigrazione,
di notevole importanza all'epoca. La guerra finì nel 1912 con la pace di
Losanna e la riconosciuta sovranità italiana sul territorio libico. In seguito,
D'Annunzio si distinse per l'accesa propaganda interventista allo scoppio
della prima guerra mondiale nel 1914. Egli, insieme a buona parte dei moderati,
dei conservatori, dei democratici, dei repubblicani e dei nazionalisti,
auspicò l'intervento italiano nel conflitto mondiale, in contrasto con la
maggior parte dei socialisti e i cattolici. D'Annunzio, schierato con i
nazionalisti, pensò che la partecipazione alla guerra avrebbe potuto affermare
la vocazione di grande potenza imperialistica dell'Italia. Egli quindi tenne
numerosi e accesi discorsi di piazza a favore dell'intervento. Nel 1915,
l'Italia entrò finalmente nel conflitto mondiale a fianco di Inghilterra,
Francia e Russia, a seguito delle trattative segrete di Sonnino e Salandra
con le forze dell'Intesa. La vittoria avrebbe consentito la riunificazione
all'Italia dei territori irredenti del Trentino, dell'Alto Adige fino al
confine naturale del Brennero, della Venezia Giulia e dell'intera penisola
istriana e parte della Dalmazia con numerose isole adriatiche. Durante la
guerra D'Annunzio, distintosi valorosamente in molteplici audaci imprese
militari, fu da tutti riconosciuto come il vate nazionale. Tuttavia, terminato
il conflitto, il rifiuto del Presidente statunitense Wilson di concedere
la città di Fiume all'Italia e l'incapacità dimostrata dal governo italiano
di risolvere la questione a proprio favore, alimentarono la polemica della
"vittoria mutilata" e spinsero D'Annunzio ad occupare militarmente la città
di Fiume (settembre 1919). L'occupazione durò per ben quindici mesi ma il poeta pescarese
fu costretto in seguito a ritornare in Italia, ritirandosi in una villa
vicino al lago di Garda. Nei confronti del fascismo salito al potere, e
del suo capo, Benito Mussolini D'Annunzio mantenne sempre un atteggiamento
favorevole ma sostanzialmente distaccato. Egli tuttavia celebrò la vittoria
della campagna coloniale di Etiopia tratteggiandone l'aspetto imperiale
e di rivincita della pesante sconfitta di Adua del 1896. |